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Tag Archives: Architettura

Seconda puntata sulla metropolitana di Budapest. Il 28 marzo 2014 è stata finalmente inaugurata la quarta linea, un progetto complesso di metropolitana tradizionale con stazioni ampie e complesse. Si potrebbe definirla come un evoluzione dello stile sovietico, una sua modernizzazione senza l’abbandono completo di uno dei capisaldi di quel modo di intendere l’estetica e l’ingegneria delle metropolitane. Si tratta dei grandi vani a sezione circolare e affiancati che costituiscono la struttura della piano banchine. In questa nuova versione parte del vano tubolare è stata rimossa per creare un grande vano a tutt’altezza contenente le risalite, che, in alcune casi, permettono anche l’accesso diretto della luce. In questo post propongo le tre versione più interessanti delle nuove stazioni profonde; i progetti sono stati tutti affidati ad affermati studi locali di architettura, un segno sempre di continuità con l’esempio originale – Mosca – che protaggono l’alta considerazione che l’Ungheria da al trasporto pubblico non solo come servizio ma anche come valore sociale ed estetico nel tessuto urbano. Esempio questo che dovrebbe diventare la chiave di lettura per tutte le nuove linee, sopratutto nel mondo occidentale, poiché una metropolitana chiave della rigenerazione urbana ha un successo quantitativo immediato e allo stesso tempo rivitalizza le aree che tocca.

Tra le tre stazioni illustrate, sicuramente il mio plauso va a Rakoczi Ter con la scelta geniale di rivestire con vetri opachi retroillumanati le pareti sagomate dei vani tubolari, ma anche il vano scala e degli ascensori della stazione Geller Ter con le strutture in calcestruzzo armato a vista e le pareti rivestite in acciaio preossidato ad andamento inclinato che ben si rapportano con i vani trasparente con i dispositivi di risalita. Da segnalare anche il completo rifacimento della piazza sovrastante la fermata Keleti Palyaudvar dove la metro 4 tocca la metro 2 e una delle principali stazioni, dove si è deciso di rimuovere parte del solaio di superficie e unificare l’intera enorme piazza all’altezza del mezzanino dotandola di molteplici servizi.

STAZIONE SZENT GELLERT TER
ARCHITETTI: SPORAARCHITECTS Kft.

STAZIONE KALVIN TER
ARCHITETTI: PALATIUM Studio Kft.

STAZIONE RAKOCZI TER
ARCHITETTI: BUDAPESTI MUHELY Kft.

© 2014 Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si acconsente l’uso di questo articolo citandone l’autore.

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Quest’ opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia.

Il 2014 mi è sembrato l’anno giusto per passare dal progetto ai fatti, sopratutto nel caso di un plastico sulla Metropolitana di Milano. Dopo un vecchio tentativo sulla metropolitana di Londra, in realtà mai concluso, era da tempo che volevo realizzare un modello in scala H0 (una scala da modellisimo ferroviario, pari a 1:87). Scartata una prima versione che prevedeva la realizzazione dell’intera stazione San Babila, sia per la banchina, che per il mezzanino e il piano strada, per motivi di costi e di spazio, alla fine è nato il progetto per un dettaglio in scala 1:43,5 (sempre un standard del modellismo denominata “0″).

Tutto ciò è stato possibile anche grande alla scoperta di un BLOG “DaTrains” di Silvio Assi, un appassionato di modellismo ferroviario di cui ho apprezzato subito le abilità pratiche e la qualità delle scelte architettoniche e urbanistiche. Dopo una serie di progetti e ipotesi alla fine siamo arrivati a scegliere la sezione riprodotto nella bozza qui sotto. Dopo è seguito un lavoro di ricostruzione dei materiali tramite l’uso dell’archvio da me raccolto negli anni.

Per i rimandi ai dettagli realizzativi vi rimando allo stesso blog. Il modello sarà pronto prima del 50° anniversario e sarà una riproduzione più possibile fedele dello stato originario della metropolitana rossa, incluso il segnale “MM” bianco su fondo rosso con il suo sostegno verniciato in marrone come i sostegni del corrimano.

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E’ giunta l’ora di iniziare un percordo celebrativo per festeggiare i 50 anni della Metropolitana di Milano. Mancano ormai pochi mesi al 1° novembre, quando la rossa compirà il suo primo mezzo secolo di vita, ancora in forma assolutamente smagliante. Un festeggiamente che sembra interessare pochi affezionati, nonostante la nostra rossa cittadina sia frequentata da centinaia di migliaia di persone ogni giorno e praticamente abbia conosciuto tutti i suoi concittadini, ma questo è un dicorso che verrà affrontato più avanti.

Nel 1958 partono i lavori nel primo lotto, che vedono l’impiego di 900 operai, i quali già nel maggio del 1959 riescono a consegnare al rustico la prima tratta affidatagli. E’ tuttavia impossibile dare un’idea di quanto imponente fosse quest’opera per la città di Milano senza illustrare prima il metodo costruttivo delle gallerie, che impose lo stravolgimento della viabilità superficiale.

La larghezza della galleria è di 7,5 metri con altezza libera pari a 3,9 metri, in modo da far transitare due vetture dalla larghezza di 2,85 metri. I tunnel hanno la copertura a non meno di 3 metri dalla superficie e il piano dei binari a non meno di 8 metri. La procedura adottata per la costruzione è una derivazione del sistema “cut&cover” londinese, usato già nel 1863 per la costruzione delle prima metropolitana, ma con una differenza sostanziale, tanto da prendere il nome di “metodo Milano”. Tale metodo prevede prima la costruzione dei piedritti, poi lo scavo del terreno fino al punto di appoggio della copertura e il getto della stessa. Successivamente viene ripristinata la viabilità di superficie e si procede, in sotterraneo, alla scavo e alla costruzione dell’arco rovescio. Per la costruzione dei piedritti sono stati adottati due metodi differenti, il primo consiste nello scavare due trincee parallele armate con paratie metalliche, il secondo invece prevede l’uso dei fanghi betonici, in questo caso la parete è composta o da pali in cemento armato strettamente affiancati e alternati, o da una parete continua, sistema questo, davvero innovativo per l’epoca. Si procede scavando due piccole trincee di 1,5 m. di profondità ed un metro di larghezza, poi rivestito con mattoni per creare una “guida” per lo scavo completo; poi la speciale scavatrice con benna mordente effettua lo scavo che è costantemente riempito con una soluzione di bentonite in acqua, capace di non far cedere le pareti dello scavo, poi viene immersa l’armatura metallica e infine viene gettato il cemento che depositandosi sul basso spinge via i fanghi. Tale procedimento venne chiamato ICOS vista la collaborazione con l’omonima Società.

Durante la fase di costruzione, che era relativamente veloce, emerse in pieno quanto il metodo adottato fosse impegnativo per il traffico di superficie e anche per i più elementari spostamenti pedonali, così fin da subito, per i lotti in centro città, si accelerò la velocità esecutiva istituendo tre turni di lavoro a coprire l’intero arco delle 24 ore. Nonostante questa soluzione portasse con se il problema del disturbo sonoro durante la notte. Tuttavia questa decisione ebbe i suoi vantaggi, tanto che per il settimo lotto, ovvero via Dante e piazza Cordusio i lavori durarono appena 350 giorni.
Particolarmente impegnativa si prospettava la tratta di via Boccaccio, dove le pareti del tunnel sarebbero dovute passare a meno di un metro dalle fondamenta delle case, tuttavia tramite l’uso del sistema ICOS (fanghi betonici), la realizzazione non diede particolari problemi, fatto salvo per un edificio in via Gioberti già danneggiato durante i bombardamenti, che fu doverosamente puntellato. Comunque, onde evitare qualsiasi crollo, MM provvide a monitorare tutti gli edifici costantemente. Un altro punto problematico fu il Palazzo della Ragione in via Mercanti, edificio di epoca medioevale, reso ancora più instabile dal grande carico dovuto alla presenza al suo interno dell’archivio notarile, per questo motivo fu necessario incatenare le volte ed armarle con robuste centinature di legno, poi si provvide a rinforzare le fondazioni con paletti gettati in opera in fori trivellati a raggiera detti “pali radice”. Inoltre il Broletto così come molti altri edifici a portici nel centro furono poderosamente centinati con travi in legno.
Anche per le stazioni, a partire da Cordusio, si decise di gettare prima il solaio e poi, dopo aver ripristinato la viabilità superficiale, costruire il solaio del mezzanino e il piano banchina.

Ma l’uso del “metodo Milano”, per quanto innovativo, non era certo immune dal portare incredibili disagi a Milano; le linee tranviarie e filoviarie, che allora erano molto più diffuse di oggi, erano state spostate; in vari punti come il Cordusio, San Babila o via Senato erano stati costruiti ponti metallici di tipo militare “Bailey” per passare sui cantieri, oppure il ponte pedonale ad arco sempre in Piazza San Babila, vagamente somigliante ai ponti veneziani. Anche l’economia locale ne soffrì, infatti gli scavi interessarono aree commerciali come Corso Vittorio Emanuele, Via Dante, Corso Buenos Aires e non solo, e molti negozi ebbero gravi perdite tanto che alcuni arrivarono a chiudere. Dai giornali dell’epoca: “… Strade occupate da cantieri, voragini aperte dalle scavatrici, grosse betoniere in funzione, ciclopiche opere in cemento armato, e la viabilità rivoluzionata, si che gli stessi cittadini faticano a districarsi.[…] per i lavori della MM e per le esigenze della Fiera, possono avvenire dei mutamenti nei sensi unici, da un giorno all’altro.[…] Entro la fine dell’anno, il terremoto viario sarà terminato e le strade verrano tutte restituite alla circolazione di superficie. …” (Domenica del Corriere 16 aprile 1961). Oppure “Ogni giorno una novità. I lavori continuano, mai sufficientemente veloci per chi segue passo passo l’avanzare delle paratie e dei piedritti, le gettate di calcestruzzo e di cemento armato, in modo impressionante invece per chi, come noi, va a dare una capatina ogni tanto” (Città di Milano).

Non è da trascurare nemmeno il numero di reperti archeologici riemersi durante gli scavi, dato la loro superficialità; a dirigere i lavori di recupero fu il Sovrintendente per i Beni Artistici e Storici professor Mirabella Roberti, che individuò sia una tratto di basolato romano in ottime condizione in via Mercanti sia le fondazioni dell’antica cattedrale di Santa Tecla e del prospiciente battistero di San Giovanni, risalenti al IV secolo d.C., a tutt’oggi visitabili sia dal Duomo sia nella relativa stazione. Anche nell’area dinnanzi alla chiesa di San Carlo, in corso Vittorio Emanuele, furono fatti importanti ritrovamenti, anche in quel caso si decise di esporli all’interno di un sottopassaggio costruito insieme alla metropolitana ma da essa indipendente. Tale sottopassaggio fu poi chiuso e le scale di accesso demolite, finendo così per essere dimenticato.

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Da Lisbona ecco due opuscoli distribuiti negli anni ’50 per informare la popolazione sulla metropolitana. Il primo è stato distribuito nel 1956 per informare i cittadini sul progetto e sui metodi di costruzione, con un titolo decisamente esplicativo sui veri destinatari Manual do mirone, non necessita di traduzione. Il secondo fu distribuito nel 1959 quando la prima linea fu aperta. La grafica, semplice ma efficace, rispecchi la semplicità del progetto architettonico, tipico dello stile neutrale e “igienico” delle metropolitane tra le spinte art deco’ degli anni ’30 e il modernismo degli anni ’60 (ovvero quelli di Milano).

Una piccola nota a margine; la Metropolitano de Lisboa, è l’unica società del genere (paragonabile alla Metropolitana Milanese per tipologia operativa) che ha una sede accessibile al pubblico con tanto di libreria specializzata e negozio.

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Dopo il completamento degli spazi in superficie, ecco che questa settimana è stato aperto anche uno dei primi rinnovati spazi sotteranei nel nodo Garibaldi. Si tratta del corridoio di collegamento tra la MM2 e il Passante-Linee S. Il corridio ha subito anche delle modifiche strutturali con lo spostamento di una delle coppie di scale che dalla banchina della Verde scendono verso il corridoio, con la contestuale eliminazione della comoda scala mobile, probabilmente dovuto alla presenza dei manufatti della Lilla immediatamente sotto a quelli esistenti. Architettonicamente il passaggio è stato portato dallo stile del Passante a quello della Linea 2, in sostanza dal vagamente postmoderno di Laura Lazzari allo stile modernista di Franco Albini rivisto da Davide Bruno. Nella pratica è stato aggiunto anche il corrimano verde, con un nuovo attacco, il colore grigio su pareti irregolari, e, almeno, sono state restaurate le strisce segnaletiche. Ripulito o sostituito il granito (classico Serizzo Ghiandone) delle scale; grande assente, ma di questo ormai è inutile stupirsi, il pavimento in gomma, sostituito dall’ormai classico gress bianco, ovviamente con misure diverse, dalle altre usate finora.
Pronti anche i due collegamenti con la MM5, adesso chiusi; intanto i treni hanno iniziato a viaggiare fino a Garibaldi (ovviamente vuoti), utilizzando così entrambe le banchine a Zara. Si attendono le ultimissime e imminenti autorizzazioni ministeriali da Roma, mentre si pianifica una “Notte Lilla” per festeggiare questo piccolo ma essenziale prolungamento.

Ingresso MM5 dal mezzanino MM2

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Questo mese è stato pubblicato un nuovo volume sulla Metropolitana di Milano: “Metro Milano” a cura di Angela Windholz, edito dalla Silvana Editoriale di Cinisello Balsamo per conto della Biblioteca dell’Accademia di Architettura di Mendrisio in Svizzera. Questo volume ben si accompagna a quello pubblicato nel 1982 dal Comune di Milano con le foto dei cantieri fatte da Emilio Frisia tra il 1959 e il 1961.

Questo volume nasce in seguito all’acquisizione da parte della Biblioteca, di un corposo archivio appartenente all’Ingegner Luigi Zaretti che diresse i lavori per la costruzione della Linea 1 tra il 1957 e il 1963 lavorando per la MM. Come scritto nel volume “…Le fotografie scattate durante i lavori provengono da varie agenzie fotografiche, perlopiù milanesi. Tra queste, Publifoto, Cera Foto Servizi e Photo News Giancolombo diretta da Gian Battista Colombo, lo storico fotoreporter della “dolce vita“. Non mancano tuttavia i contributi di singoli fotografi affermati, tra cui il pavese Guglielmo Chiolini (1900-1991) e, per Publifoto, Tino Petrelli (1922-2001), Mario La Porta ed Eugenio Pavone.” Parte di queste foto sono infatti già state oggetto di pubblicazione sia sui periodici che sui molti volumi “Aggiornamento cantieri” della Metropolitana Milanese. L’intero archivio fotografico è comunque consultabile sul sito internet della Biblioteca (http://metromilano.biblio.arc.usi.ch/).

La monografia, che presenta una parte delle fotografie raccolte nell’archivio, tutte rigorosamente in bianco e nero, presenta anche un testo introduttivo ad opera della curatrice, nonché direttrice della Biblioteca, con una citazione di Virginio Vercelloni, di cui l’Accademia Ticinese raccoglie anche l’archivio e che è assai noto a chi si documenta sulle metropolitane di Milano. Oltre alla presentazione vi è anche un testo del noto scrittore Gianni Biondillo dal titolo “Un filo rosso nella storia di Milano“, raffinata citazione di Franco Albini che descrisse i corrimano rossi della metropolitana proprio come un filo di Arianna rosso che conduce il passeggero fuori dal labirinto della metropolitana. Lo scritto di Biondillo ripercorre in forma narrativa la storia della metropolitana dall’inizio del ’900 fino all’inaugurazione nel 1964 completando il tutto con una raffinata critica ai recenti restyling.

In definitiva si tratta di un libro che è in grado di soddisfare molteplici interessi: sia il tecnico sia il lettore di narrativa che la persona più attenta alla storia e all’attualità. Complice anche un prezzo decisamente abbordabile, un formato ridotto e alla qualità della stampa, questo volume non può mancare nella biblioteca di chi si dice interessato sia alle metropolitane in genere, sia alla storia della Milano contemporanea nella speranza che questo volume possa costituire un primo passo verso una crescente considerazione del valore che questa infrastruttura ha oltre al suo uso quotidiano.

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Perché si usa questo termine: tube? Ovvero tubo. L’immagine qua sotto lo rende subito esplicito. Non si tratta né di tubature del gas e nemmeno di meno eleganti scarichi di acque reflue. Sono tunnel della metropolitana di Londra, ovvero il nodo della stazione Kennington dove due diramazioni della Northern Line si uniscono nel sud della città. Parallelamente al sistema detto cut&cover, letteralmente taglia e copri, ma più dettagliatamente, scava e ricopri, che null’altro è che una ferrovia costruita sotto il livello della strada, più o meno interamente ricoperta, per non avere interferenze con il traffico superficiale, il tube costituisce l’evoluzione definitiva della metropolitana. Infatti, il metodo originale, praticato per i primi trenta anni, non si può adattare a tutte le situazioni, prevede grandi stravolgimenti in superficie, talvolta l’abbattimento di edifici, e la necessità di seguire la maglia urbanistica esistente. Il tube non necessità di nulla di tutto ciò, ha tracciati indipendente, può sotto passare qualunque cosa, compresi corsi d’acqua e strati archeologici; può richiedere scavi anche molto ridotti e solo dove vi sono stazioni o pozzi di areazione. Il diametro tipo dei primi tunnel londinesi era di 310cm, mentre le versioni successive aveva un’ampiezza di minimo 450cm.

Questa invenzione, prettamente anglosassone, nasce con l’idea, apparentemente banale, che come i tubi che incominciano ad attraversare le città ottocentesche per portare acqua, gas, cavi elettrici, telegrafici, acque sporche, i primi cavi telefonici e perfino la posta pneumatica, allo stesso modo si possono realizzare tubi che possano trasportare persone. Uno dei primi tentativi, ad opera di Marc Isambard Brunel, sotto passava il Tamigi; accessibile alle persone tramite scale o ascensori e veniva percorso a piedi, fu costruito a partire dal 1825 e inaugurato nel 1843. Oggi questo tunnel è parte della metropolitana di Londra (Overground Line). In seguito sia a New York che Londra s’ipotizzò l’introduzione di convogli spinti, rispettivamente, con l’aria compressa o da pulegge, ma non ebbero successo. Infine, grazie all’arrivo dell’elettricità, si poterono utilizzare treni normali tradizionali. O quasi, vista la conformazione cilindrica ancora oggi caratteristica peculiare dei convogli Londinesi. Dagli anni ’30 questa prassi divenne consolidata e i tunnel, più larghi, permettevano il passaggio di treni con dimensione standard. Oggi i tunnel circolari scavati a grande profondità da trivelle meccanizzate, le talpe o TBM, costituiscono la maggior parte delle nuove realizzazioni; proprio questa tecnica altamente automatizzata di scavo ha definitivamente consolidato la geometria cilindrica delle metropolitane.

Conseguenza di questa scelta strutturale è evidente nella conformazione delle stazioni. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, il fatto che le metropolitane siano realizzate per il trasporto umano, nelle prime conformazioni l’aspetto finale, se non si considerano le dimensioni, ripercorre perfettamente la forma di un impianto idraulico.

La prima fase è rappresentata nelle prime due immagini sono raffigurate le stazioni londinesi Down Street della Piccadilly Line e Camden Town della Northern Line. La prima fu aperta nel 1907 e chiusa nel 1932 senza subire modifiche, a causa dell’eccessiva vicinanza con le altre stazioni. La seconda fu aperta nel 1907 ed è tuttora funzionante. Sono entrambe formate da tunnel contenenti le banchine, uno per ogni direzione o ramo. Questi tunnel-banchina sono poi connessi al sistema di risalita tramite cunicoli di forma circolare di dimensione ridotta, due per ogni banchina contenenti in parte delle scale per sovrappassare la banchina nell’altra direzione. Il sistema di risalita è a sua volta costituito da due o quattro vani cilindrici verticali che contengono una scala a chiocciola o gli ascensori. Infatti, in questa prima tipologia era collegata con la superficie solo con ascensori e scale. L’aspetto in sezione e assonometria ripete pienamente quello di un impianto idraulico di qualsiasi tipo. Internamente le stazioni erano interamente rivestite di piastrelle smaltate installate in modo da formare disegni geometrici, il pavimento era in conglomerato cementizio e gli arredi erano costituiti dalle luci elettriche e da poche panchine di legno e ferro. Le poche indicazioni grafiche erano dipinte in nero. Entrambe le stazioni furono progettate architettonicamente da Leslie Green.

La seconda fase vede l’introduzione delle scale mobili. La prima è la versione attuale della stazione Camden Town già illustrata prima, la seconda è la stazione Bounds Green della Piccadilly Line, realizzata nel 1932. L’introduzione della scala mobile nasce parallelamente all’umanizzazione degli spazi sotterranei. Anziché collegare il sistema di risalita con stretti tunnel parzialmente percorribili attraverso strette scalinate, viene declinato per il sotterraneo il sistema della banchina ad isola. Quindi i due vani circolari delle banchine sono complanari e le loro uscite si affacciano entrambi sul ripiano che porta alle scale. L’intero complesso assume quindi una conformazione sostanzialmente simmetrica. Anche gli spazi vengono estesi, aumentando i diametri anche per contenere le tre scale mobili in legno e metallo. Se la stazione Bounds Green da parte del primo lotto conformato in questo modo al mondo, per la stazione Camden Town si tratta di una modifica avvenuta in epoca successiva, che ha comportato anche la rimozione degli ascensori, mantenendo invece, per ovvi motivi, i due diversi livelli altimetrici delle banchine. Architettonicamente la variazione nella parte sotterranea è costituita dalla semplificazione dei decori e dalla standardizzazione della grafica, il grande cambiamento avvenne invece in superficie.

Stato finale della stazione Piccadilly Circus a Londra dopo il rinnovamento delle uscite avvenuto nel 1928 con il progetto architettonico di Charles Holden

La terza fase vede il completamento del processo evolutivo di questa tipologia. Con il contratto tra l’Unione Sovietica e gli ingegneri della metropolitana di Londra per realizzare la metropolitana di Mosca, viene definita la conformazione unitaria degli spazi delle stazioni profonde. Partendo dal diametro maggiore e dalla lunghezza accresciuta delle banchine, i piccoli spazi pensati per la metropolitana di Londra, da considerarsi come un progetto sperimentale, non erano più adatti. Per questo ai due tubi paralleli contenenti le banchine furono associati uno o più tubi paralleli contenenti gli spazi di collegamento; i tre tunnel paralleli furono connessi non con altre gallerie ma non realizzando le separazioni tra i tre vani e sostenendo le volte con pilastri, tutti interamente realizzati in metallo. Ad una o entrambe le estremità del tunnel centrale vennero poi posizionati i collegamenti obliqui contenenti le scali mobili. La grande profondità delle stazioni nel centro di Mosca e le dimensioni maggiorate degli spazi hanno portato alla realizzazione di vani estremamente ampi che furono poi decorati con le note caratteristiche estetiche di derivazione neobarocca, che ben celano tuttora la complessità strutturale. Nell’immagine è raffigurata un’interconnessione tipo pensata per Mosca e la sezione del punto di connessione tra le due linee; inoltre uno spaccato assonometrico della struttura da confrontarsi con il risultato finale architettonico.

Con l’evolvere del tempo la tipologia non si è più modificata dal punto di vista volumetrico, se non aumentando o diminuendo gli spazi a seconda delle necessità. Al contrario vi è stata una vasta evoluzione architettonica: abbandonati gli sfarzi sovietici (proseguiti fino agli anni 50 e 60) gli allestimenti si sono orientati verso una maggiore semplificazione estetica e un crescente tentativo di sottolineare la complessità strutturale. A Praga e a Vienna i conci di acciaio dei tunnel rimangono visibili e per completare gli spazi si fa massiccio uso di pannelli metallici introdotti con la metropolitana di Milano; i materiali con posatura a secco si diffusero rapidamente. Solo in periodi più recenti, l’aumento della complessità strutturale legata ai nuovi impianti e alle aggiornate norme di sicurezza, hanno visto il moltiplicarsi dei materiali usati con un forte ritorno del calcestruzzo armato, usato da qualche decennio anche per i conci dei tunnel. A Stoccolma le stazioni profonde aperte nel 1975 in planimetria ripercorrono lo schema moscovita, ma si presentano come vani con roccia a vista semplicemente ricoperta di calcestruzzo spruzzato e poi variamente decorate con opere d’arte. Nell’immagine il complesso nodo di London Bridge dopo l’inserimento della fermata della Jubilee Line (in verticale) e il rifacimento della fermata della Northern Line (in orizzontale) tramite l’introduzione di una nuova banchina per permettere l’inserimento delle scale mobili.

Nell’ultimo decennio le stazioni profonde sono state riviste per permettere, eventualmente, l’eliminazione dello scavo in sotterraneo senza diminuire eccessivamente la profondità e l’uso dei due tunnel paralleli e, contemporaneamente, aumentare gli spazi delle stazioni, sia per inserire nuovi vani tecnici sia per questioni architettoniche. Alcuni esempi sono sia le stazioni realizzate per la prima linea metropolitana di Copenaghen sia per la sua gemella in realizzazione a Milano: la linea 5. Questi vani sono costituiti da un singolo parallelepipedo sufficientemente ampia da permettere il passaggio delle due macchine scavatrici e contenere, nel centro, la banchina ad isola con i sistemi di risalita. Da punto di vista architettonico non è più possibile definire uno standard tipico.

Foto della banchina della stazione Russel Square della Piccadilly Line a Londra

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Il 2013 le metropolitane compiono 150 anni di vita. La prima metropolitana entro in funzione a Londra il 10 gennaio 1863. Si trattava di un singolo tunnel tra le stazioni Paddington e Farringdon. Costruita scavando i tunnel e le stazioni dall’alto – metodo cut&cover – era gestita da una compagnia ferroviaria privata detta “Metropolitan Railway Company” a cui deve il nome che identifica questo sistema, anche se nel mondo anglosassone viene tutt’ora chiamata semplicemente underground (come da noi “la sotterranea”) o tube.

Per avere il primo tube si dovrà aspettare il 1890 – salvo un primo fallimentare esperimento nel 1870 – con la prima tratta costruita intermente in sotterraneo per opera della “City and South London Railway” (oggi Northern Line) tra le stazioni King William Street – poi chiusa – e Stockwell. Fu costruita con l’uso di scudi circolari, utili a proteggere gli operai, e il tunnel era costituito dall’assemblaggio di conci metallici; tale tecnologia è stata favorita dall’avvento della trazione elettrica che ha permesso l’eliminazione degli scarichi delle locomotive a vapore che spingevano i treni nelle prime linee, ha visto la luce sempre a Londra. Con l’avvento del tube, ma soprattutto della trazione elettrica, la metropolitana iniziò a diffondersi in tutto il mondo.

La metropolitana, da subito strettamente legata al contesto urbano ad alta densità, che il nome bene rispecchia, ebbe un lento approccio con l’architettura che in quel momento era già perfettamente integrata nella realizzazione dei grandi terminali ferroviaria; a Londra, su tutti, la grande stazione di St. Pancras realizzata in stile neogotico vittoriano nel 1861 ad opera dell’ingegnere William Henry Barlow. Le prime stazioni metropolitane erano lavori prettamente ingegneristici, con allestimenti semplici e dal gusto classico, giusto qualche lampione e panchina nelle banchine, e archi e lesene classiche sulle facciate; tra i protagonisti vi furono l’ingegner John Fowler e l’architetto Harry Warton Ford per la Distric Line, l’architetto Harry Bell Measures per la Central Line – anche in stile tudor – , e T. Phillips Figgis per la Northern Line. Sarà solo con l’entrata nel XX° secolo che vi furono i primi interventi consapevoli di architetti. Nell’era Edoardiana toccò all’architetto Leslie William Green disegnare la maggioranza delle facciate delle palazzine dove vi sono gli accessi alle stazioni profonde, tra il 1905 e il 1908. Infatti a Londra non vi era e non vi è tuttora l’uso delle scale di uscita poste lungo i marciapiedi, salvo rare eccezioni. Le uscite sono sempre state collocate in apposite palazzine di uno o due piani comprendenti spazi commerciali al piano terra, e uffici al livello superiore. Le loro caratteristiche peculiari sono le grandi aperture chiuse da archi a tutto sesto, i rivestimenti in piastrelle in terracotta lucida, di colore bordeaux all’esterno e verde nelle parti sotterranee, cesellate con fogge neorinacimentali, e alcuni inserimenti Art Nouveau soprattutto nelle parti metalliche; si tratta di uno dei primi esempi di disegno uniformato per le metropolitane.


STAZIONE COVENT GARDEN, OPERA DI LESLIE GREEN

Ma il vero punto di congiunzione tra architettura e metropolitane nasce a Parigi, che nel 1901 inaugura la prima linea della sua ampia rete, e affida gli aspetti estetici al maestro dell’Art Nouveau Hector Guimard. Le sue realizzazioni per le uscite delle stazioni, ma anche per il raffinato disegno delle maioliche che rivestono le banchine, non solo rimane la sua opera più nota, ma costituisce tuttora un simbolo parigino e un punto di riferimento assoluto nella progettazione infrastrutturale.


PORTE DAUPHINE A PARIGI, OPERA DI GUIMARD

Il primo modernismo, tuttavia, non riesce a spazzare via il gusto eclettico che constituirà ancora, fino agli anni 30 il paradigma. A Berlino, per opera dell’architetto svedese Alfred Granader (tra il tra il 1910 e il 1930), con le sobrie stazioni nel centro della città, con le colonne metalliche decorate da capitelli in ferro battuto in fogge Liberty o stampati nelle forme classiche; da citare anche le stazioni che riprendono il medioevo e rinascimento tedesco, tra le quali segnalare Heidelberger Platz per opera di Wilhelm Leitgebel (1913).


BERLINO, CAPITELLI METALLICI DI GRANADER


BERLINO, HEIDELBERGER PLATZ

A Budapest con la prima linea aperta nel 1896 – ad opera della Siemens & Halske, come per Berlino – realizzata in forme eclettiche e divenuta oggi Patrimonio dell’Umanità UNESCO; a New York dove l’aspetto architettonico è curato per la sola stazione City Hall (la cui foto è visibile nel primo post di questo blog), e nelle bande in ceramica che coronano le banchine delle altre fermate. Madrid segue Parigi soprattutto nell’allestimento delle banchine, introducendo grossi riquadri pubblicitari realizzati con piastrelle in rilievo anziché in carta o dipinti.


MADRID, STAZIONE FANTASMA DI CHAMBERI

Negli anni ’30, con il passaggio all’Art Dèco, e al modernismo europeo razionalista, con la sostanziale scomparsa di ogni aspetto decorativo a favore di forme dallo spiccato aspetto geometrico. Esempi sono le molte stazioni delle estensioni della metropolitana di Londra verso le periferie e le New Town ad opera dell’architetto Charles Henry Holden. Sempre a Londra arrivano i primi tentativi, peraltro molto riusciti, di studio degli aspetti grafici delle metropolitane, dapprima con la realizzazione del font Johnston, di Edward Johnston, nel 1916, e poi con lo schema grafico ad opera di Harry Beck, ancora oggi entrambi utilizzati e punto di paragone per tutta la produzione analoga.


LONDRA, STAZIONE RAYNERS LANE DI CHARLES HOLDEN

Caso a parte è costituito dalla metropolitana di Mosca, inaugurata nel 1935, figlia di un ambizioso progetto politico, fu realizzata con precisa volontà di grandezza per quello che era il trasporto del popolo. La conformazione della prima linea fu progettata dagli stessi ingegneri inglesi che realizzavano il tube di Londra, riproponendone la conformazione ma rivoluzionando la geometria delle stazioni, espandendone e razionalizzandone gli spazi. Invece di stretti tunnel che portavano dagli ascensori provenienti dalla superficie, attraverso piccole scale, verso le banchine, a Mosca fu introdotto l’uso massiccio delle scale mobili, solo da poco sperimentate a Londra. Le nuove stazioni composte da un atrio, un tunnel obliquo con le scale e tre tunnel paralleli – due per treni e banchine e uno di smistamento – semplificarono l’accesso a queste stazioni profonde. Ma quello che tuttora le rende uniche è la scelta di allestirle in uno stile neobarocco, con grandi lampadari in ferro, stucchi alle pareti, mosaici, pavimenti in materiale pregiato; stile che verrà riprodotto in tutte le reti dell’area sovietica.


MOSCA KOSMOLSKAYA

Nelle restanti nuove reti, come Chicago o Barcellona, e più avanti Stoccolma (1950), Roma (1955) e Lisbona (1959), e in generale per tutti gli anni ’40 e ’50, gli aspetti estetici verranno messi da parte per favorire un risparmio notevole nella realizzazione di queste infrastrutture, preferendo pareti intonacate, piastrelle perlopiù bianche, scarsa segnaletica, rari e monocromi mosaici e pavimenti in pietra dai colori scialbi.

L’ingresso nell’era contemporanea delle metropolitane si avrà grazie al progetto del team Franco Albini, Franca Helg, Bob Noorda a Milano nel 1964 con il ritorno dell’architettura, nello specifico funzionalista e modernista post-bellica. La progettazione integrale, dall’allestimento alla segnaletica, secondo principi razionali studiati nel dettaglio, l’uso di materiali innovativi (il pavimento in bolli neri, molto utilizzato fino a tutti gli anni ’80 è stato creato apposta per la Linea 1 di Milano), l’uso del colore dominante, di un font apposito e di icone identificative vede in questo progetto la prima applicazione totale, dopo i primi tentativi di Londra.


Dagli anni ’60 l’approccio usato a Milano diverrà il filo conduttore di molte nuove realizzazioni – San Paolo, Vienna, Brasilia, Washington – e di alcuni rinnovamenti – Boston nell’immediato e Madrid ancora oggi. Soprattutto lo studio della grafica e della segnaletica, e l’uso di materiali innovativi e facilmente gestibili come i pannelli removibili, sono man mano diventati uno standard. Stoccolma costituisce, in apparenza, un caso a parte, ma sebbene la scelta di affidare ad artisti il completamento delle stazioni, e la loro conformazione unica – come caverne – lo standard dell’allestimento rispecchia sempre le regole funzionaliste introdotte nel 1964 a Milano.


MADRID TRIBUNAL OGGI


STOCCOLMA CENTRAL, STAZIONE SULLA LINEA PIU’ RECENTE (1975)

L’ultima fase è rappresentata nasce, nuovamente, a Londra con la scelta di assegnare a differenti studi architettonici di prestigio il progetto delle undici stazioni del prolungamento della Jubillee Line, 1999, come Norman Foster (Canary Wharf). Segue Lisbona con le opere di Alvaro Siza Vieria (stazione Baixa-Chiado) o gli esperimenti innovativi francesi di Lilla. Con questa fase l’attenzione agli aspetti architettonici delle metropolitane si avvia a diventare la norma. In alcuni casi come la stazione Drassanes di Barcellona diventano prove di design, in altri casi, come Napoli, campo per l’applicazione di opere artistiche estese, esperimenti già effettuati in maniera ridotta a Bruxelles o come anticipato a Stoccolma. Nella maggior parte dei casi la prassi funzionalista, ovviamente aggiornata, che propone ancora la standardizzazione dell’allestimento e lo studio dettagliato della segnaletica e dei dettagli si avvia a diventare norma consolidata, investire nell’aspetto estetico di una metropolitana, anche percentuali relativamente rilevanti non è più un tabù.


LONDRA JUBILEE LINE, CANARY WHARF

© Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore

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