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Tag Archives: Architettura

La “Rossa” con occhi nuovi.

Continuano le visite guidate alla mostra che la Fondazione Franco Albini ha dedicato ai 50 anni di questo celeberrimo progetto di architettura e design.

La mostra proseguira fino a novembre 2015 ed è visitabile solo prenotandosi presso la Fondazione. La visita alla mostra verra tenuta dal sottoscritto e ha una durata di circa 90 minuti nei quali vi verranno spiegati tutti gli aspetti che hanno fatto della Linea 1 rossa un successo internazionale.

Una visita che parte dallo studio dove Franco Albini, Franca Helg e Bob Noorda progettarono gli interni della sotterranea dal 1961, ammirando tavole originali e luoghi di lavoro che narrano lo spirito di un epoca dell’architettura italiana all’avanguardia nel mondo.

Durante le visite verranno illustrati sia il progetto sia la storia travagliata che ha portato ai primi cantieri e il loro rapporto con la città, per potersi, per una volta, fermare a scoprirne i dettagli e svelare tutti quei particolari, spesso dimenticati, che hanno fatto sì che questo progetto sia diventato subito un successo mondiale che ancora oggi funge da modello.

Le visite guidate e la Mostra, dedicate e legate al Cinquantesimo anniversario della M1, sono su prenotazione e integrate le une con l’altra. Le prenotazioni sono già aperte.

Durata:
la durata è indicativamente di un’ora e mezza

Orari:
Mercoledì 17.30
Sabato 11 – 14.30 – 16.30
Domenica 14.30 – 16.30

Prezzo:
10 euro – Ridotto 7 euro (minori di 18 anni)

Per prenotazioni scrivere a
fondazionefrancoalbini@gmail.com

o chiamare il numero
02 4982378

 

© 2014-15 Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si acconsente l’uso di questo articolo e delle immagini PREVIO AUTORIZZAZIONE DELL’AUTORE

Il 2014 è stato anche l’anno del 90° anniversario della Metropolitana di Barcellona; questo è il primo di una serie di due articoli dedicati alla rete della famosa città Catalana.

In questo primo post sulla metropolitana di Barcellona, ho voluto dare ampio risalto alla costruenda Linea L9-10 perché presenta caratteristiche innovative nel sistema di costruzione. Queste caratteristiche sono state in gran parte proposte anche nell’ormai famoso “progetto Pizzarotti” secondo arrivato nella gara di appalto per costruire e gestire la linea 4 della metropolitana di Milano. Dunque, illustrando il progetto in realizzazione nella città Catalana, sarà possibile vedere, oltre alle caratteristiche meno note, anche i pregi e i difetti di questo nuovo approccio.

Le due linee L9 e L10, che hanno in comune un’ampia parte del loro percorso, possono essere facilmente considerate come un unica linea con diramazioni ad entrambe le estremità.  La metropolitana, una volta terminata, sarà lunga ben 47,8 km di cui 43,71 in sotterraneo il che la renderà la linea metropolitana interrata più lunga d’Europa.  Vi saranno 52 stazioni, incluse tre a servizio dell’aeroporto. Di questa tratta in costruzione, il 13 dicembre 2009 sono già stati messi in servizio 6,8 km con 9 stazioni, più una, ancora chiusa, a servizio della futura stazione dell’Alta Velocità denominata La Sagrera. Per il 2016 è prevista l’apertura del braccio a sud della città, che dalla zona dell’aeroporto lambiranno il centro cittadino unitamente al prolungamento della linea L2, nel 2018 la seconda diramazione, mentre è ancora imprevedibile l’apertura dell’intera linea sebbene sia già stato completato l’intero tunnel.

Il costo stimato della linea sarà di 6927 milioni di euro per la costruzione e almeno 9692 per il servizio.  Con un costo di costruzione di 145 mil/km e un costo finale di 348 mil/km a fine concessione (2044). Quindi ben al di sopra dei 2000 milioni per la costruzione della Linea 4 di Milano (133 mil/km) e del totale di 3600 incluso il servizio (240mil/km). I treni in servizio su questa linea sono della serie 9000 prodotta dalla ditta Francese Alstom che fornirà anche i servizi tecnologici per le linee 4 e 5 di Milano; al contrario nel progetto Pizzarotti i treni erano forniti dalla spagnola CAF.

Ma veniamo al punto focale del progetto, il sistema costruttivo. Infatti il tunnel in cui corre gran parte della L9-10 è stato scavato da due talpe con diametro di 11,70 metri di diametro in grado di ospitare entrambi i binari e le banchine delle stazioni. Tecnicamente un tunnel con questo diametro può ospitare ben 4 binari divisi in due coppie su due piano diversi. In alcuni punti dove avviene l’interconnessione tra i binari sovrapposti (per l’inversione di marcia) i binari attivi sono tre, di cui uno su rampa obliqua. All’interno del tunnel sono posti anche alcuni stante per sottoservizi e impianti e i binari di ricovero.  Le stazioni, dovendo servire banchine assai profonde, sempre non meno di 25 metri ma con profondità fino ai 50, hanno impianti di risalita complessi e che richiedono spazi più ampi. Infatti, se la costruzione delle banchine e del tunnel con impianti riduce di molto l’interessamento della superficie, il dover poi raggiungere profondità così ampie richiede la realizzazione di vani verticali più complessi. In questo caso si è pensato a vano di forma cilindrica che contengono nelle stazioni “meno profonde” non meno di cinque rampe di scale mobili alternate e, in quelle più profonde, blocchi di ascensori rapidi ad alta velocità. Questa resta senza dubbio l’ostacolo più grande di questo progetto; le grandi profondità scoraggiano parte dell’utenza e rendono poco competitiva la linea sui percorsi brevi e medi. Infatti un elevato tempo di discesa e risalita penalizza la rapidità di spostamento offerta della metropolitana.

I grossi volumi richiesti dalle risalite, il cui spessore delle pareti cresce con il crescere della profondità, riducono di molto il vantaggio portato dal non dover realizzare dall’alto le banchine. Un pozzo della Linea 9-10 di Barcellona ha un diametro che tocca i 30 metri, nel caso di Milano significherebbe coprire già il 50% della lunghezza della stazione, senza comunque risolvere la questione del mezzanino e delle varie uscite sulla strada che richiedono comunque ampie zone di scavo aggiuntive.

Uno degli altri aspetti ritenuti vantaggiosi da questo metodo ha in realtà poca consistenza nella realtà: alcuni hanno ipotizzato la facilità con la quale, un domani, possono essere allungate le banchine essendo già presente dello spazio scavato. Bene questo non tiene conto del fatto che il tunnel scavato deve già prevedere questa ipotesi presentandosi privo di pendenze e curve per tutta la possibile area di prolungamento, ma questo è spesso poco realistico e conveniente. Nei tratti in curva richiederebbe di pensare ad un tracciato che preveda da subito tratti lineari lunghi anche fino a 100 metri (o 150 a seconda della lungimiranza) rendendo quindi molto più rigido il tracciato. Peggio ancora per quello che riguarda l’orizzontalità: infatti nella pratica consueta del progetto dei tunnel tra le due stazioni lo stesso tende ad abbassarsi per favorire con la discesa dopo la fermata l’accelerazione e con la salita prima della fermata la frenata. Senza considerare le variazioni altimetriche dovute al percorso stesso. Quindi il possibile prolungamento delle banchine richiede il suo progetto sin dall’inizio, cosa che non risulta in alcun modo, e una versione più rigida del percorso con tutte le conseguenze che ne nascono considerando che le stazioni hanno distanze tutte inferiori ai 700 metri (tratta per Linate esclusa). Tutto questo senza contare l’enorme quantitativo di terra che verrebbe scavata senza un reale utilità per la metropolitana; non a caso fa impressione veder correre i treni di Barcellona su un binario posizionato al centro di una larga camera vuota.

Concludendo gli aspetti costruttivi di questa linea e, in parallelo, della proposta fatta per Milano, non sono certo quel concentrato di innovazione, basso impatto in superficie e vantaggi vari che si vuole far credere. Non è un caso se questo tipo di progetto è, almeno per ora, stato utilizzato in una sola delle 160 reti metropolitane del mondo. Dunque la proposta vincitrice, quella dell’ATI (associazione temporanea di imprese) guidata da Impregilo, che prevede stazioni meno profonde e una tecnica comunque innovativa per la tratta centrale (tunnel con banchina inclusa) a fronte di un ribasso del  4,7% sulla cifra in appalto, sembra avere il giusto bilanciamento, tuttavia siamo tutti in attesa della sentenza di merito del Consiglio di Stato che dirà l’ultima parola in merito alla gara.

Per finire voglio ritornare nell’ambito più strettamente legato a questo blog,  ovvero l’architettura della metropolitana L9-10 di Barcellona.  Per questa linea sono stati scelti materiali di rivestimento che vanno dall’acciaio non verniciato opaco, acciaio verniciato o smaltato e gres per le pareti, pavimenti i gres, controsoffittature varie. Molta parte delle superfici verticali sono montate a secco (stile Milano) con colori, dove presenti, che vanno su varie tonalità dal bordeaux all’arancione chiaro, colore della Linea L9.  Le banchine sono rivestite con pannelli metallici bianchi a sezione curva inframmezzati da un’area scura adibita all’installazione della segnaletica che richiama quella continua tipica anche di tutta la rete barcellonese ma più volte interrotta. La banchina è chiusa delle porte di sicurezza e da un breve tratto di controsoffitto piano che varia da stazione a stazione.  La quasi intera lunghezza della banchina è servita da una panchina continua integrata nei pannelli di rivestimento laterale. Corrimano a due altezza in acciaio inox a vista seguono le scale rivestite in granito opaco. Dal punto di vista architettonico sono particolarmente interessanti i vani ascensori delle stazioni più profonde come Fondo o Onze de Semptembre dove sono presenti 7 ascensori veloci a grande profondità che portano dal mezzanino al fondo del pozzo. L’ingresso e l’uscita degli ascensori è contingentato in modo che l’uscita avvenga verso la parete del pozzo e l’entrata sul fronte e viceversa. Da queste sette ascensori si accede ad un pianerottolo dal quale partono le due scale, verso le due banchine sovrapposte. A questi ascensori se ne aggiungo due che immettono direttamente ai due livelli delle banchine, riservate ai disabili.

© 2014 Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si acconsente l’uso di questo articolo e delle immagini citandone l’autore.

Licenza Creative Commons
Quest’ opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia

Tra i tanti materiali ideati apposta per la Linea 1 della metropolitana di Milano quello di maggior successo commerciale è senz’altro il pavimento in gomma. A distanza di 50 anni possiamo ancora calpestarlo in diciotto delle ventuno stazioni originali del 1964. Dopo dieci lustri il pavimento in gomma è ancora lì, nella sua posizione originale e ancora perfettamente in grado di fare il suo lavoro. Sfido a trovare pavimenti di 50 anni usati in luoghi pubblici così frequentati che siano ancora completamente utilizzabili. Guardandolo con attenzione non ci sono segni di consumo e i bolli sono ancora integri. A tal proposito è doveroso citare una delle tante curiosità che il geom. Consonni mi ha raccontato. Riferendosi sopratutto ai pavimenti in gomma dei treni fu notato come i tacchi delle scarpe tendevano a tagliare le superfici in rilievo; fu dunque scelta una mescola più resistente e quale test fu usato per verificarne la resistenza: i pavimenti furono posati all’ingresso femminile delle operaie della Pirelli. Il nuovo pavimento era perfetto e lo dimostra il fatto che dopo 50 anni non ci sono segni di taglio sui bolli ne sulle righe in rilievo nei treni originali.

Storicamente il primo uso di un pavimento in gomma per un’infrastruttura in Italia dovrebbe essere stato per la stazione Termini a Roma; mentre il pavimento a bolli è progettato apposta per la Linea rossa di Milano dove fu installato per la prima volta nella stazione campione di Amendola Fiera. Il pavimento fu poi sperimentato presso l’aeroporto di Kuala Lumpur in Malesia, che venne aperto al pubblico sempre nel 1963. Attualmente questo tipo di pavimento lo si può trovare ovunque nel mondo; è stato utilizzato per le metropolitane di San Paolo, Londra, Bruxelles, Napoli, Roma, Genova e molte altre ancora. Inoltre è poi diventato di uso comune per molte tipologie di spazi pubblici. Attualmente questo pavimento non è più prodotto dalla Pirelli ma dalla ditta Artigo.

Tecnicamente parlando il pavimento è in sola gomma di tinta nera. Il tipo di lastra si presenta con il disegno a bolli appositamente disegnato e studiato per la metropolitana di Milano. Il pavimento fu prodotto dalla ditta Linoleum consociata della Pirelli. La colorazione nera è uniforme sia per il piano banchine che per il mezzanino, i singoli moduli quadrati hanno il lato di 60cm; la presenza dei bolli facilità la giuntura tra i moduli e il deflusso dell’acqua sia per il lavaggio sia dovuta a fenomeni atmosferici. In alcune stazioni, come De Angeli, è stato usato anche una variante a strisce verticali e orizzontali alternate, mentre per le stazioni comprese nel tratto Molino Dorino – Sesto FS il disegno è sempre a bolli. Le caratteristiche peculiari di questo pavimento sono la resistenza e il potere fonoassorbente oltre ad una sostanziale economicità. Anche la manutenzione è relativamente facile, infatti le mattonelle possono essere facilmente lavorate e, una volta staccate, possono essere facilmente posate.

Quello che invece resta poco chiaro è la paternità del modello a bolli. Il pavimento è stato attribuito a Franco Albini, che già collaborava da diversi anni con la Pirelli, soprattutto nell’uso della gommapiuma per gli oggetti di arredo. Tuttavia Arrigo Arrighetti, in un suo memoriale, poi parzialmente pubblicato anche su un libro monografico piuttosto raro, afferma di aver pensato lui la versione a bolli, sempre in collaborazione con la Pirelli. All’epoca della sua attività progettuale per la metro rossa, Arrighetti ipotizzo tre tipologia di pavimenti: frammenti di materiale lapideo, gres e gomma. Ufficialmente dice di aver poi optato per il pavimento in gomma con bolli, da lui ideato, da utilizzare in almeno tre tipologie di colore. Infatti il pavimento in gomma può essere prodotto (come avviene oggi) in varie tonalità, con la precisazione che tutti i colori diversi dal nero, hanno resistenze minori e costi più alti. Per questo motivo Arrighetti scelse le piastrelle colorate (in verde, rosso o giallo) solo per alcune fasce con finalità di indicare e distinguere le varie aree funzionali del mezzanino. Non è chiaro se la gomma sarebbe stata usata anche per le banchine. Tuttavia tutte queste affermazioni sono contraddette dal fatto che nella stazione di Buonarroti, dove insiste l’allestimento di prova di Arrighetti, non è stato mai usato il pavimento in bolli ma frammenti di materiale lapideo vario. Ancora oggi questa soluzione può essere valutata. Il mio sospetto è che Arrighetti abbia scritto quel memoriale (per altro scritto a mano) in un momento successivo alla sua sostituzione nel progetto di allestimento della metropolitana di Milano. Al momento non esiste alcun documento che attesti in modo inequivocabile la paternità di questo celeberrimo pavimento, né sotto forma di brevetto né come documento di archivio della Pirelli, da me contattata in merito.

Nel corso dei primi anni 2000 il pavimento in gomma nera è stato sostituito nelle stazioni Duomo, Cordusio e Cadorna lato Linea 1 (si veda l’immagine) con un pavimento in gres bianco oggetto di numerosissime e doverose critiche sia in merito alle assenti qualità estetiche, sia in merito alle dubbie prestazioni. Successivamente il pavimento in gomma è stato anche rimosso dalle stazioni Loreto e Centrale, sostituito con un pavimento in gres grigio chiaro con andamento più irregolare, forse più guardabile di quello bianco ma con l’incredibile caratteristica di evidenziare qualsiasi minima traccia di sporco. Se l’intento originale era quello di replicare alle accuse di “cupezza” dell’allestimento di Franco Albini e Franca Helg – premiato con un Compasso d’Oro – la presenza di questo pavimento bianco ha forse aumentato forse la luminosità interna alla stazione, ma con un inappropriato riflesso che ha come unica conseguenza di conferire all’ambiente un effetto di squallore che non giova a nulla.

Stazione Buonarroti: la prova di allestimento di Arrighetti

Pubblicità del Pavimento in gomma della Pirelli

Stazione Duomo nel 1964 (foto Fondazione Franco Albini, riproduzione vietata)

Banchine della stazione Buonarroti nel 2014 ancora semplicemente perfetto

Il pavimento replicato a Bisceglie con l’innesto del percorso per non vedenti

Capolavoro presso la stazione Cadorna, la terra di nessuno tra la Linea 1 (gress) e la Linea 2 (gomma)

 

 

© 2014 Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si acconsente l’uso di questo articolo PREVIO AUTORIZZAZIONE DELL’AUTORE

Continua l’opera di restyling della fermata Centrale della Linea verde. Come da tradizione, queste attività di ristrutturazione e modifica dell’allestimento, lasciano a desiderare sotto il punto di vista della qualità architettonica. Dal punto di vista della configurazione della nuova stazione è in corso la demolizione definitiva della vecchia scala centrale verso la stazione ferroviaria. Questo lavoro è propedeutico alla realizzazione della seconda coppia di tappeti mobili e della copertura vetrata centrale che porterà luce solare nel mezzanino. Sembra che i lavori ora procedano con costanza e rapidità.

Nel frattempo è stato completato e inaugurato l’ascensore che porta dal mezzanino alla superficie.; si tratta di un opera richiesta da tempo ma che non posso non giudicare mal posizionata e sottodimensionata. Già durante la mia visita ho sperimentato che la stessa è constantemente occupata con utenti in attesa e spesso confusi. Mi chiedo anche se qualcuni si è chiesto il motivo per il quale una persona qualunque passa dalla metropolitana alla ferrovia senza mai passare allo scoperto e chi deve usare l’ascensore si troverà a dover attraversare la piazza. Intanto mancano ancora gli ascensori tra la banchina e il mezzanino della Linea 2.

Per quanto riguarda i dettagli dell’aredo vi sono alcune piccole note positive: il colore scelto per il soffitto e per l’intonaco delle pareti è conforme allo spirito del progetto di Franco Albini e Franca Helg; il corrimano ne risulta rivalutato. Completamente diverso il giudizio sui pannelli di rivestimento laterlae; i telai sono stati ripristinati e riverniciati nel corretto color marrone originale, ma i pannelli in acciaio smaltato con texture a piramidi (opera di Albini) prodotti dalle Smalterie Lombarde, sono stati rimossi e sostituiti con pannelli probabilmente in alluminio (Alucobond?), evidentemente pronti ad accogliere la già criticatissima e fragilissima pellicola usata a Loreto. Interessante notare che nel progetto originale i pannelli sarebbero rimasti, invece loro sono spariti (quando potevano essere restaurati e puliti) mentre i vetri di protezione dello spazio a doppia altezza, logorati dall’acido dei writers, sono esattamente al loro posto. Ne vi è stato un intervento per potenziare l’illuminazione, magari con l’uso di LED. Ultima nota dolente: i pavimenti in gres sui quali è inutile aggiungere altri commenti, se non far notare la presenza di inserti in acciaio con sistema anti scivolo a copertura degli impianti.

Nell’ultima immagine potete vedere come si presentavano i pannelli in acciaio smaltato all’inaugurazione della Metro 2. I pannelli furono poi un successo internazionale e costituiscono ancora oggi uno standard nell’allestimento delle metropolitane e delle ferrovie.

Piano mezzanino: demolizione della vecchia scala:

Piano intermedio

Superficie

Piano mezzanino: aree sottoposte a “restyling”

STATO DI FATTO:

Alcune parti ancora nello stato originale, dopo circa 44 anni di vita:

 

1969: Stazione Udine MM2 (foto Fondazione Franco Albini, riproduzione vietata)

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Un nuovo post per inviatarvi tutti alla “giornata di studi politecnica” che il professor Giampiero Bosoni ha organizzato per martedi 25 novembre presso il Politecnico-Bovisa. Il professor Bosoni, già presente alle conferenze realizzate per i 50 anni della Linea 1, è curatore della mostra “Milano Sottosopra” esposta in occasione della Milanesiana e all’Expo Gate nei giorni del 50esimo compleanno della metropolitana di Milano. La mostra sarà nuovamente disponibile al pubblico degli appasionati e non, presso il Politecnico-Bovisa fino al 13 dicembre.

APPUNTAMENTO PER MARTEDI’ 25 NOVEMBRE DALLE ORE 9,00 IN VIA DURANDO 10

Quella di martedì sarà un’ottima occasione per approfondire i temi legati alle metropolitane a 360 gradi, sempre con l’intento di festeggiare i 50 anni della rossa milanese per eccellenza.

 PROGRAMMA

© 2014 Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it

In esclusiva per i lettori del blog Metroricerche, ecco la versione italiana di un ottimo articolo tutto dedicato alla metropolitana di Washington. Colgo l’occasione per ricordare che lo studio della segnaletica e della grafica della metropolitana della capitale degli Stati Uniti, è stata creata dal milanese Massimo Vignelli, già autore della segnaletica della metropolitana di New York con la collaborazione di Bob Noorda. Un’altra segnaletica figlia della metropolitana di Milano.

La metropolitana di Washington è nota per le sue stazioni con le volte a botte e i cassettoni, ma ci sono ben undici differenti tipologie architettoniche progettate per l’intera rete. Vediamo quali sono.

STAZIONI SOTTERRANEE

STAZIONI TIPO “WAFFLE” A CASSETTONI

Da tempo il tipo di stazione più comune è quella denominata “Waffle” o più tecnicamente con la volta “a cassettoni”, ideata dallo studio CDA e da Harry Weese. Ci sono ben 32 stazioni con questa conformazione, situate sopratutto nel centro città. La volta è caratterizzata dalla presenza di piccoli cassettoni rettangolari che si allineano alle pareti dando l’idea che una cialda avvolga il vano della stazione. La maggior parte di queste fermate sono state costruire usando dei casseri appositamente progettati, solo la stazione Dupont Circle fu realizzata usando pannelli prefabbricati.

Il disegno dei cassettoni è stato usato per la prima linea aperta nel 1976. Le ultime stazioni realizzate con questa architettura sono Waterfront e Navy Yard, aperte nel 1991 quando fu inaugurata la Green Line.

STAZIONI CON ARCHITETTURA TIPO 1

Dopo la tipologia a cassettoni si iniziò ad usare massicciamente elementi prefabbricati per ridurre i costi. Queste stazioni, denominate in loco “Arch I” (architettura 1) presentano ancora delle similitudini con le volte originali, ma invece di molteplici e piccoli  cassettoni rettangoli, vi sono solo quattro vani lungo l’intero arco della volta, allineati in senso verticali per l’intera lunghezza. Queste stazioni sono state realizzate solo per l’estensione ad ovest della Red Line a partire dal 1981 dalla stazione Dupont Circle alla stazione Van Ness. L’ultima stazione realizzata con questo disegno è Grosvenor nel 1984.

STAZIONI CON ARCHITETTURA TIPO 2

Simili alla tipologia precedente, le stazioni denominate “Arch II” (architettura 2) presentano sei grandi cassettoni verticali invece dei quattro precedenti,  sempre realizzate con moduli prefabbricati.  Le stazioni con questa conformazione sono poche e recenti, ad eccezione di Mount Vernon Square, aperta nel 1991, insieme alle stazioni a cassettoni.

STAZIONI IN GALLERIE PARALLELE

L’ultimo tipo di stazione sotterranea è quella a gallerie parallele, con piattaforma ad isola. Questa tipologia è stata usata solo per le stazioni più profonde di Wheaton e Forest Glen dove la linea è costituita da due tunnel paralleli a canna singola. Anziché presentarsi con un unica grande volta  queste fermate ne hanno due di dimensioni ridotte connesse da un corridoio. Anche la stazione di Fort Totten ha questa conformazione, nonostante sia molto poco profonda, tanto che parte della stessa è all’aperto. Le stazioni più profonde sono state aperte nel 1990, mentre quella più superficiale nel 1993.

STAZIONI IN SUPERFICIE

In aggiunta ai quattro tipi di stazione in sotterraneo, ci sono sette tipologie di stazioni in superficie. Possono essere raggruppate in tre categorie: ad ali di gabbiano, a punta e a mansarda. La tettoia curva ad ali di gabbiano contrasta con le più squadrate coperture del tipo “a punta”, mentre la tipologia a “mansarda” richiama più facilmente la volte delle stazioni sotterranee.

STAZIONI AD ALI DI GABBIANO TIPO 1

Questo tipo fu il primo ad essere utilizzato per le stazioni all’aperto. Il tetto è perfettamente identico alla sagoma di un gabbiano in volo. La tettoia è formata da cemento a vista, esattamente come le stazioni sotterranee così come la anche la forma arcuata delle due volte gemelle richiama le volte a botte. Questo tipo di stazione risale alla prima linea del 1976 ed è comune a tutte le stazioni realizzate fino ai tardi anni ’70. L’ultima comparsa di questo tipo di tetti risale al 1993, quando fu realizzato il  piano più basso della stazione Fort Totten dove la tettoia combacia con quella del livello superiore (aperto nel 1978) ma non fu realizzato fino all’apertura della Green Line. L’ultima stazione realizzata esclusivamente con questa copertura fu Van Dorn Street nel 1991.

 

STAZIONI AD ALI DI GABBIAMO TIPO 2

 

Dopo che con l’apertura dell’estensione verso Branch Avenue nel 2001 il piano Regionale del 1968 fu completato. In questa occasione l’amministrazione decise di interrompere il file conduttore del brutalismo delle prime stazioni con cemento a vista. Queste ultime tre stazioni facenti ancora parte del progetto di rete originale, aprirono nel 2004; ci sono notevoli differenze nei colori, nei materiali e nel disegno delle strutture. Tuttavia l’aspetto generale è sostanzialmente simile alle ali di gabbiano del disegno originale, tanto da poter essere chiamati “Ali di gabbiano 2″.

STAZIONI DELLA CITTA’ DI ALEXANDRIA

Due delle stazioni aperte nel 1983 presentano un nuovo tipo di tettoia sopratutto perché la città di Alexandria si mostro preoccupata che lo stile ad ali di gabbiano mal si intonasse con lo stile architettonica del centro storico. Queste stazioni dette “Alexandria Peak” sono Braddock Road e King Street. La tettoia è di forma triangolare con un’apertura trasparente lungo l’intera sommità del tetto; la copertura della stazione King Street è interrotta in modo da non coprire la visuale del locale George Washington Masonic National Memorial.

STAZIONI DEL GENERAL PEAK

Questa tipologia è apparsa per la prima volta nel 1980 quanto aprì la stazione Addison Road. Queste stazioni sono coperta da una tettoia piana in cemento che copre le banchine e al centro presenta, per tutta la lunghezza, un copertura in ferro e vetro di forma triangolare. Lo stile è decisamente differente da quello ad “ali di gabbiano”, ma i materiali sono simili. Questo stile è comune alle stazioni aperte tra il 1980 e la fine degli anni ’90.

STAZIONI DELL’HIGH PEAK

Queste stazioni sono simili come copertura a quelle precedenti tanto da poter essere incluse nella precedente lista, tuttavia la larghezza maggiore della copertura e la sua altezza tale da includere anche un mezzanino, costituiscono differenze sostanziali. Infatti, mentre le copertura delle stazioni del tipo “General Peak” hanno le tettoie di poco elevate sopra la sagoma del treno, queste stazioni hanno il tetto molto più alto anche nelle parti in cui il mezzanino è assente; in questo modo si viene a formare uno spazio assai alto su parte della banchina che, tuttavia, offre uno scarso riparo dagli eventi atmosferici.

Questa copertura nelle ultime stazioni costruite secondo lungo il progetto di rete originale. E’ presente solo a Franconia-Springfield e in altre tre stazioni aperte nel 2001 lungo l’estensione verso Branch Avenue.

STAZIONI DEL TYSONS PEAK

Le stazioni della Silver Line si presentano in modo nettamente differente rispetto ai primi allestimenti, seguendo la tradizione iniziata nel 2004. Queste tettoie sono più leggere e con un maggior senso di contemporaneità rispetto al brutalismo del cemento a vista delle stazioni ad Ali di Gabbiano. Queste coperture sono simili in sezione a quelle del General Peak con l’apice al centro della banchina ad isola e la vetrata al centro lungo tutta la lunghezza. Ma i materiali sono più simili a quelli classici richiamati dalle stazioni dell’Alexandria Peak.

COPERTURA A MANSARDA (GAMBREL ROOF)

La copertura a mansarda è anch’essa tipica della Silver Line aperta nell’estate del 2014. Questa copertura più alta è realizzata in metallo e con materiali più leggeri. La forma arcuata resta comunque un tributo alle volte originali delle stazioni sotterranee.

STAZIONI CON TIPOLOGIA PROPRIA

 In aggiunta alle undici stazioni tipo, ci sono sei stazioni con un disegno studiato appositamente. Queste particolarità sono sostanzialmente dovute alla conformazione geografica dell’area su cui insiste la stazione, ma anche  come conseguenze di scelte architettoniche volute.

  

Huntington (a sinistra) e Anacostia (a destra) sono entrambe stazioni il cui disegno e frutto della particolare situazione geografica. Tra Eisenhower Avenue e Huntington, la Yellow Line corre su un viadotto sopra un’ampia vallata e sovrappassando la tangenziale, ma dopo aver passato l’Huntigton Avenue la linea taglia una collina nella quale è ubicata la parte sud della stazione. Quindi, avendo un’estremità su viadotto e una in galleria la progettazione è stata piegata a questa conformazione.

L’unicità della stazione Anacostia  è legata alla scarsa profondità della falda acquifera. Quindi, nella necessità di non scavare in profondità, la stazione presenta delle volte dal diametro più piccolo e posizionate in senso perpendicolare ai binari.

  

La stazione National Airport (a sinistra) fu aperta nel 1977 con una versione modificata dello stile ad ali di gabbiano essendo le banchine molto strette. Quando fu costruito un nuovo terminal dell’aeroporto fu realizzata anche una nuova entrata nel lato nord insieme con l’estensione delle tettoie che seguirono uno stile completamente differente rispetto a quella esistente.

 La stazione del celeberrimo Cimitero di Arlington (a destra) è, invece, assai semplice. Solo una parte delle banchine è coperta dal viadotto del Memorial Avenue, la strada che conduce al cimitero. Un’altra interessante particolarità è la presenza del mezzanino sotto i binari, anziché sopra.

La stazione Prince George’s Plaza (a sinistra) è stata costruita in trincea con il parcheggio di corrispondenza posto sopra la stazione in modo da formarne anche parte della copertura. Le siepi che crescono lungo i lati della trincea completano il buon allestimento della stazione.

La stazione West Hyattsville (a destra), che fu aperta nel 1993 insieme alla precedente, è altrettanto unica. E una stazione con banchine laterali con una copertura appositamente studiata con una tettoia in cemento a vista.

© 2014 testi e foto a cura di Matt Johnson, traduzione italiana a cura di Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it. Si acconsente l’uso di questo articolo PREVIO AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELL’AUTORE.

Post originale su: http://greatergreaterwashington.org/post/24359/metro-has-eleven-types-of-station-architecture-learn-them-all-with-this-one-interactive-map/

 

La “Rossa” con occhi nuovi.

Per i 50 anni della Metropolitana Linea 1 Rossa di Milano la Fondazione Albini propone una visita guidata per far vivere con occhi nuovi un luogo della città spesso dato per scontato.

Una visita che parte dallo studio dove Franco Albini, Franca Helg e Bob Noorda progettarono gli interni della sotterranea dal 1961, ammirando tavole originali e luoghi di lavoro che narrano lo spirito di un epoca dell’architettura italiana all’avanguardia nel mondo.

Curate dall’architetto Giovanni Luca Minici, durante le visite verranno illustrati sia il progetto sia la storia travagliata che ha portato ai primi cantieri e il loro rapporto con la città, per potersi, per una volta, fermare a scoprirne i dettagli e svelare tutti quei particolari, spesso dimenticati, che hanno fatto sì che questo progetto sia diventato subito un successo mondiale che ancora oggi funge da modello.

Le visite guidate e la Mostra, dedicate e legate al Cinquantesimo anniversario della M1, sono su prenotazione e integrate le une con l’altra. Le prenotazioni sono già aperte.

Durata:
la durata è indicativamente di un’ora

Orari:
Mercoledì 17.30
Sabato 11 – 14.30 – 16.30
Domenica 14.30 – 16.30

Prezzo:
10 euro – Ridotto 7 euro (minori di 18 anni)

Per prenotazioni scrivere a
fondazionefrancoalbini@gmail.com

o chiamare il numero
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© 2014 Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si acconsente l’uso di questo articolo e delle immagini PREVIO AUTORIZZAZIONE DELL’AUTORE

Chi conosce la storia della Linea 1, anche brevemente, prima o poi ha sentito parlare del Metodo Milano. Si tratta del sistema di costruzione dei tunnel e delle stazioni che prevedeva una diversa sequenza delle operazioni secondo un procedimento che oggi viene definito top-down, ovvero dall’alto al basso. In pratica venivano prima realizzate le pareti laterali, lasciando aperta la carreggiata centrale, sebbene ridotta; poi si procedeva a chiudere la viabilità, effettuare un primo parziale scavo, e poi realizzare la soletta di copertura del tunnel. Infine, ripristinata la viabilità, si procedeva allo svuotamento del tunnel direttamente in sotterranea e alla creazione della soletta di fondo ad arco rovescio. Il tutto con l’uso di calcestruzzo armato. Questo procedimento sostituiva quello della semplice trincea che avrebbe richiesto la sospensione della viabilità per quasi l’intera durata dei lavori, oltre a cospicui sforzi per il sostegno dei palazzi al margine delle strade, senza ricorrere allo scavo mediante scudo meccanizzato (le talpe ancora non esistevano) con costi molto più alti dovuti anche all’estrema profondità richiesta poco adatta alla falda milanese.

Pochi sanno che questo metodo è figlio di un’altra invenzione milanese, un’invenzione che ha avuto ancora più successo del metodo Milano (oggi sempre più usato nelle sue evoluzioni), ovvero l’uso dei fanghi bentonici per la realizzazione di manufatti nel terreno. Questo sistema fu brevettato dalla ditta milanese ICOS (Impresa Costruzioni Opere Specializzate) all’inizio del 1950, grazie all’intuizione dell’ingegnere austriaco Christian Veder e ad un gruppo di tecnici tra i quali figura anche Aldo Bellini, il cui figlio (Walter) ho potuto recentemente intervistare per raccogliere questa storia decisamente poco nota. Oggi l’uso dei fanghi bentonici per la realizzazione di manufatti strutturali è pressoché la norma. Difficile per un cantiere urbano non ricorrere a questo sistema per creare i limiti per uno scavo, oppure per realizzare la fondamenta di edifici anche molti alti come sta avvenendo nel complesso CityLife. Il sistema è tanto semplice quanto geniale: una speciale macchina scavatrice (anche questa invenzione brevettata dalla ICOS), effettua uno scavo nella forma indicata dal progetto, nel caso della metropolitana si tratta di pareti lineari o ondulate. Contemporaneamente nello scavo viene immessa acqua mescolata a bentonite che forma una sorta di gel. Dopo viene inserita l’armatura metallica della struttura e infine, partendo dal basso, viene gettato il calcestruzzo, il quale, essendo più pesante dei fanghi bentonici, lo sollevano verso l’alto. Una volta maturato il tutto possibile effettuare lo scavo. Il perno dell’idea sta nel fatto che la densità e la consistenza del gel permette alle pareti laterali dello scavo di non cedere e al contempo, essendo sempre un liquido, il gel può facilmente essere rimosso.

La metropolitana di Milano fece larghissimo uso di questo sistema e fu uno delle prime applicazione in ambito urbano di questo sistema, oggi di prassi. Anche in questo caso il successo di questa tecnologia Made in Italy – e in Milano – fu così ampia che nel 1964 fu deciso di chiamare la ICOS per realizzare l’enorme vasca per le fondazione del World Trade Center di New York. Questa vasca, in pratica indistruttibile, è attualmente la stessa che contiene le fondazioni dei nuovi edifici realizzati nell’isolato e una parte della tessa è lasciata in vista all’interno del museo dell’11 settembre. In inglese prende il nome di slurry wall technique, ma se volete indagare su chi sia l’inventore di questo metodo, per esempio consultando Wikipedia, ancora oggi non troverete nessun cenno alla sua storia; l’ennesimo caso di come il nostro paese sia bravo a parlare dei suoi antichi fasti, ma negato nel celebrare i suoi successi più attuali.

Per una completa lettura sui progetti realizzati dalla ICOS quando ancora era titolare dell’unico brevetto di questo sistema suggerisco la ricerca del volume La ICOS nei lavori nel sottosuolo, edito nel 1968.

Due foto che illustrano il team di ricerca con l’ingegner Aldo Bellini, a sx nella prima foto. (immagine fornita da Walter Bellini)

Dalle immagini dell’Ingegner Zuretti conservate presso la Biblioteca di Mendrisio

Il metodo Milano per tunnel e stazioni:


Alcune immagini dal volume La ICOS nei lavori nel sottosuolo:

Schema della struttura per la stazione Duomo

La struttura in opera nella stazione Duomo

La vasca del World Trade Center

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E alla fine ecco pronto il plastico della metropolitana Linea 1 Rossa della stazione San Babila. Grazi al lavoro di Silvio Assi, mastro modellista, tutto è stato riprodotto alla perfezione nell’allestimento originale del 1964, inclusa il celeberrimo manifesto della Campari disegnata da Bruno Munari.
Adesso attende solo di essere esposta in una bella mostra per i 50 anni della metropolitana di Milano, ma questa è un’altra storia di cui darò alcune dettagliate informazioni più avanti.

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Uno dei grandi capitoli nell’architettura delle metropolitane è il loro rapporto con la superficie. In questo le scale di uscita sono l’interlocutore più diffuso; infatti raramente si preferisce un contatto diretto tra il mezzanino o la banchina e lo spazio aperto, con l’uso di piazze dedicate. Queste scale, che potrebbero essere considerate banali e marginali, sono invece assai complesse, perché visibili a tutti, anche a chi non usa il trasporto pubblico e spesso si trovano in luoghi centrali e monumentali. Per questo motivo il loro progetto ha generato alcuni successi (da Parigi nel 1901 a Bilbao) e molti fiaschi, per lo più finiti nel dimenticatoio ma tutt’ora presenti. Le uscite si possono dividere in tre settori: sola scala, scala coperta o edicola, e scala all’interno di un edificio. La prima fattispecie è la più comune ed è tipica, per esempio di Milano. Fu introdotta massicciamente con le metropolitane di New York e Parigi all’inizio del XX secolo. La è più rara, usata solo in alcuni casi a Parigi (le complesse edicole Guimard), a New York (City Hall) e sopratutto a Budapest (1896) ebbe il suo trionfo con le edicole monumentali di Mosca e San Pietroburgo. La terza fu invece praticata fin dalle origini a Londra, sia con le parti superficiali della stazioni delle prime linee (dal 1863) più simili, però, a stazioni; sia con la nascita del Tube e delle sue palazzine atte ad ospitare le scale a spirale e le ascensori.

Ma vediamo il caso in oggetto: Varsavia. La prima linea della metropolitana è stata inaugurata tra il 1995 e il 2008 con un misto di stili che va dal sovietico anni ’70 ad un minimalismo contemporaneo (nella tratta più a nord) fino ad alcune trovate discutibili (stazione Centrum). Inaugurata mettendo in servizio vecchi treni sovietici ridipinti (ancora circolanti) e in seguito dotata di treni nuovi, è davvero un tramite tra la cultura trasportistica dell’est e quella dell’ovest europeo. Le uscite della prima linea, sono realizzate con una volta a botte con una sottile struttura metallica blu e rivestimento in vetro trasparente. Funzionanti ma poco attrattive. Tutto un altro discorso per le uscite di cui sarà dotata la nuova linea, in fase avanzata di realizzazione ad opera dell’Astaldi. Si tratta di una sorta di ali in dispiegamento costituite da quattro superfici inclinate con struttura metallica rivestite di vetri verdi, appoggiata su un solido e geometrico blocco di cemento a vista. Davvero una scelta coraggiosa, esteticamente impattante, di completa rottura con il contesto, come vuole la dinamica evoluzione della città, votata verso il futuro in completo distacco con il suo passato regime. Più che un’uscita è una dichiarazione di intenti che non passera inosservata nell’attesa anche di vedere gli interni della nuova metropolitana, si spera più coordinati e rilevanti della prima linea.

In questa foto, sulla destra, si vede il centro informativo sul progetto. Quando anche a Milano vedremo uno di questi punti informativi?

Una delle coperture della prima linea, inaugurata nel 1995.

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