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Tag Archives: 50 anni della metropolitana di Milano

In occasione della conferenza del 14 ottobre sui 50 anni della linea rossa di Milano è stato lanciato il sito:

www.metromilano50.it

Questo sito creato dalla Fondazione Franco Albini, con il contributo della Galleria d’Arte Campari,  si avvale della consulenza storica e tecnica del sottoscritto. Il sito e’ dedicato ai 50 anni della metropolitana 1 e accompagnerà tutti gli eventi che festeggeranno il compleanno della “Rossa” per eccellenza. Vi raccomando di tenere sempre sott’occhio la sezione sulle celebrazioni e di contribuire invidato le vostre foto e le vostre idee per rendere memorabile questo anniversario!

Ecco la prima conferenza che apre le commemorazioni per i 50 anni della metropolitana Linea 1 rossa di Milano. Si terra nel corso della manifestazione Move.App Expo.

MARTEDI’ 14 OTTOBRE

ORE 10,30

MUSEO DELLA SCIENZA E DELLA TECNICA LEONARDO DA VINCI DI MILANO

PADIGLIONE AERONAVALE


50 ANNI DELLA LINEA 1,

UNA METROPOLITANA DI SUCCESSO

Quest’anno Milano festeggia i 50 anni della sua prima metropolitana. Un’infrastruttura che a costituito una svolta epocale per la mobilità urbana ma che è stata anche un successo dell’architettura, del design e della tecnica “Made in Italy”. Lo stile voluto dal team di progettazione Albini-Helg-Noorda è stato un punto di svolta per la metropolitane in tutto il mondo è costituisce ancora la spina dorsale nelle nuove realizzazione. In questa sessione verrà illustrata l’evoluzione del progetto di una metropolitana per Milano fino a giungere alla fase di cantierizzazione avviata nel 1957 e analizzarne il suo rapporto con la città  a seguire verrà illustrato il celeberrimo progetto architettonico del team Albini-Helgh-Noorda e il suo immediato successo che ancora oggi costituisce la spina dorsale di molti analoghe infrastrutture.

INTERVERRANO
-Prima e dopo la Linea 1, evoluzione e successo di un progetto. (dal primo progetto del 1905 ai cantieri del 1957, ai primi progetti architettonici) a cura di Minici Giovanni Luca (Architetto creatore del blog Metroricerche e studioso dell’architettura delle metropolitane)
-Il progetto Albini-Helg-Noorda, a cura di Marco Albini (Professore e Architetto, presidente della Fondazione Franco Albini)
-La costruzione della metropolitana e il suo rapporto con la città, a cura di Giampiero Bosoni (Professore, Architetto e storico del Design italiano), curatore della mostra “Milano Sottosopra” esposta durante la Milanesiana 2014
-Testimone di un epoca, a cura di Giampietro Livini, Architetto esperto di trasporti, impiegato presso i cantieri della Linea 1

“La nostra l’è un salott, chela là una cusina; magari multiplicada per vint, ma l’è pur semper una cusina. Mi auguro che la nostra debba restare sempre insci me l’è, un salott per i sciuri e i pori crist”

Giovanni D’Anzi, il più milanese fra i cantanti, parlando delle metropolitane di Milano e New york

E’ da tempo che alcune persone mi scrivono, dopo aver conosciuto questo blog, per riferirmi le loro testimonianze dirette e indirette sulla metropolitana di Milano. In questo momento, in cui si avvicinano sempre di più i 50 anni della Rossa, scrivo per invitare ancora più persone a riferire le loro esperienze, perchè magari hanno lavorato di persona nei cantieri delle metropolitana milanese (anche per le linee verde e gialla, perchè no!) o perchè l’hanno fatto i loro genitori, come il recente caso del signor Walter Bellini. Lo scopo è quello sia di preservare questi ricordi e proiettarli nel futuro, che quello di chiarire il più possibile una vicenda tutt’altro che semplice e documentata. Molte sono ancora le lacune perfino sul progetto della Linea 1. Dunque vi invito a farvi avanti scrivendo al mio indirizzo metroricerche@yahoo.it

© 2014 Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si acconsente l’uso di questo articolo PREVIO AUTORIZZAZIONE DELL’AUTORE

Chi conosce la storia della Linea 1, anche brevemente, prima o poi ha sentito parlare del Metodo Milano. Si tratta del sistema di costruzione dei tunnel e delle stazioni che prevedeva una diversa sequenza delle operazioni secondo un procedimento che oggi viene definito top-down, ovvero dall’alto al basso. In pratica venivano prima realizzate le pareti laterali, lasciando aperta la carreggiata centrale, sebbene ridotta; poi si procedeva a chiudere la viabilità, effettuare un primo parziale scavo, e poi realizzare la soletta di copertura del tunnel. Infine, ripristinata la viabilità, si procedeva allo svuotamento del tunnel direttamente in sotterranea e alla creazione della soletta di fondo ad arco rovescio. Il tutto con l’uso di calcestruzzo armato. Questo procedimento sostituiva quello della semplice trincea che avrebbe richiesto la sospensione della viabilità per quasi l’intera durata dei lavori, oltre a cospicui sforzi per il sostegno dei palazzi al margine delle strade, senza ricorrere allo scavo mediante scudo meccanizzato (le talpe ancora non esistevano) con costi molto più alti dovuti anche all’estrema profondità richiesta poco adatta alla falda milanese.

Pochi sanno che questo metodo è figlio di un’altra invenzione milanese, un’invenzione che ha avuto ancora più successo del metodo Milano (oggi sempre più usato nelle sue evoluzioni), ovvero l’uso dei fanghi bentonici per la realizzazione di manufatti nel terreno. Questo sistema fu brevettato dalla ditta milanese ICOS (Impresa Costruzioni Opere Specializzate) all’inizio del 1950, grazie all’intuizione dell’ingegnere austriaco Christian Veder e ad un gruppo di tecnici tra i quali figura anche Aldo Bellini, il cui figlio (Walter) ho potuto recentemente intervistare per raccogliere questa storia decisamente poco nota. Oggi l’uso dei fanghi bentonici per la realizzazione di manufatti strutturali è pressoché la norma. Difficile per un cantiere urbano non ricorrere a questo sistema per creare i limiti per uno scavo, oppure per realizzare la fondamenta di edifici anche molti alti come sta avvenendo nel complesso CityLife. Il sistema è tanto semplice quanto geniale: una speciale macchina scavatrice (anche questa invenzione brevettata dalla ICOS), effettua uno scavo nella forma indicata dal progetto, nel caso della metropolitana si tratta di pareti lineari o ondulate. Contemporaneamente nello scavo viene immessa acqua mescolata a bentonite che forma una sorta di gel. Dopo viene inserita l’armatura metallica della struttura e infine, partendo dal basso, viene gettato il calcestruzzo, il quale, essendo più pesante dei fanghi bentonici, lo sollevano verso l’alto. Una volta maturato il tutto possibile effettuare lo scavo. Il perno dell’idea sta nel fatto che la densità e la consistenza del gel permette alle pareti laterali dello scavo di non cedere e al contempo, essendo sempre un liquido, il gel può facilmente essere rimosso.

La metropolitana di Milano fece larghissimo uso di questo sistema e fu uno delle prime applicazione in ambito urbano di questo sistema, oggi di prassi. Anche in questo caso il successo di questa tecnologia Made in Italy – e in Milano – fu così ampia che nel 1964 fu deciso di chiamare la ICOS per realizzare l’enorme vasca per le fondazione del World Trade Center di New York. Questa vasca, in pratica indistruttibile, è attualmente la stessa che contiene le fondazioni dei nuovi edifici realizzati nell’isolato e una parte della tessa è lasciata in vista all’interno del museo dell’11 settembre. In inglese prende il nome di slurry wall technique, ma se volete indagare su chi sia l’inventore di questo metodo, per esempio consultando Wikipedia, ancora oggi non troverete nessun cenno alla sua storia; l’ennesimo caso di come il nostro paese sia bravo a parlare dei suoi antichi fasti, ma negato nel celebrare i suoi successi più attuali.

Per una completa lettura sui progetti realizzati dalla ICOS quando ancora era titolare dell’unico brevetto di questo sistema suggerisco la ricerca del volume La ICOS nei lavori nel sottosuolo, edito nel 1968.

Due foto che illustrano il team di ricerca con l’ingegner Aldo Bellini, a sx nella prima foto. (immagine fornita da Walter Bellini)

Dalle immagini dell’Ingegner Zuretti conservate presso la Biblioteca di Mendrisio

Il metodo Milano per tunnel e stazioni:


Alcune immagini dal volume La ICOS nei lavori nel sottosuolo:

Schema della struttura per la stazione Duomo

La struttura in opera nella stazione Duomo

La vasca del World Trade Center

© 2014 Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si acconsente l’uso di questo articolo PREVIO AUTORIZZAZIONE DELL’AUTORE

E alla fine ecco pronto il plastico della metropolitana Linea 1 Rossa della stazione San Babila. Grazi al lavoro di Silvio Assi, mastro modellista, tutto è stato riprodotto alla perfezione nell’allestimento originale del 1964, inclusa il celeberrimo manifesto della Campari disegnata da Bruno Munari.
Adesso attende solo di essere esposta in una bella mostra per i 50 anni della metropolitana di Milano, ma questa è un’altra storia di cui darò alcune dettagliate informazioni più avanti.

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Sebbene la tradizione delle ferrovie sotterranee o metropolitane fosse ben radicata da tempo nella mentalità fortemente moderna e industriale di Milano, dovettero passare ben 101 anni dall’apertura della prima linea londinese affinché anche la metropolitana di Milano entrasse in servizio. Questo enorme lasso di tempo è stato creato, in sintesi, da due precisi motivi, il primo è che la rivoluzione industriale arrivò in Italia in ritardo e quindi le città non crebbero tanto da richiedere una tecnologia come quella delle metropolitane, e la seconda, intervenuta con il XX secolo, si riduce sostanzialmente all’instabilità socio – politica che ha contraddistinto la nostra storia attraverso due dispendiose guerre mondiali, il susseguirsi di crisi economiche, di governi instabili e deboli prima e di una lunga e violenta dittatura dopo, più attenta a costose e improduttive vicende coloniali.

Comunque l’ambizione milanese di dotarsi di una ferrovia sotterranea risale già al 1857, ovvero diciassette anni dopo l’apertura della Milano – Monza e ben sei anni prima che a Londra fosse costruita la Metropolitan Railway, la prima metropolitana al mondo.

L’origine di questa prima idea risiede nella proposta fatta dall’ingegner Carlo Mira (1799-1885), di deviare i navigli nel centro della città, la cosiddetta fossa interna, verso il canale Redefossi. Nel 1863 il colonnello Edoardo Gandini, che aveva seguito dal vivo la costruzione della prima linea londinese, fece sua la proposta di Mira affinché nei canali prosciugati venisse collocata un’ippovia su rotaia da lui ideata. Il concetto base è di “convogliare il traffico pesante sotto il piano di terra”. Ma fu lo stesso Mira ad evidenziarne le difficoltà tecniche ed economiche, accantonando il progetto.

Nel 1873 l’architetto Giovanni Brocca ripropone ancora il progetto di Mira con l’intento di “riformare, a partire dal laghetto di San Marco, l’alveo della fossa, dividendo in due parti uguali all’incirca la sua larghezza normale e riservando per l’una, quella verso la via, pei rotanti, ad essere chiusa a guisa di canale sotterraneo ad accrescimento del piano ordinario viabile, destinando l’altra, mantenuto l’avvallamento attuale, a luogo di traino per una ferrovia a cavalli a doppio binario”, ma il Comune, tramite il cavalier Belinzaghi, risponde che “il mettere la tranvia così in basso, diventa esteticamente cosa poco simpatica” ; forse in questa frase si può già capire il difficile rapporto tra questa infrastruttura e il mondo architettonico.
Nel 1881, in occasione della Grande Esposizione di Milano, Brocca coglie l’occasione per ripresentare direttamente il suo progetto, questa volta al Ministero a Roma, che però segue l’esempio viennese e boccia il progetto.

Nel 1885 la rivista specialistica Il Politecnico, giornale dell’Ingegnere Architetto Civile e Industriale propone nuovamente l’idea di Mira, ampliando però il progetto di riconversione a tutti i navigli di Milano, soprattutto alla cerchia che da lì a poco sarebbe stata interrata. La trazione sarebbe stata sempre a cavallo, anche poiché l’elettrificazione dei tram inizierà solo nel 1892.
Nel 1895 viene stipulata una concessione con la Società Edison, per l’esercizio delle linee tramviarie; viene così inaugurata la prima linea di tram elettrici aprendo l’era dei moderni sistemi di trasporto e avviando la chiusura dell’era del trasporto pubblico a cavallo ma anche quella del vapore.

Sezione dell’ippovia, in cui si nota il dislivello con il piano stradale, secondo il progetto di Giovanni Brocca. (da Milano, Due
Secoli di trasporti, Francesco Ogliari, 1999)

Piazza San Marco con il tratto terminale dell’ippovia e le stalle, sulla destra il porto con il tratto residuo del naviglio, nel
progetto di Giovanni Brocca nel 1873 (da Milano. Due Secoli di trasporti, Francesco Ogliari, 1999)

Progetto completo delle ippovie, create sfruttando l’anello dei navigli, pubblicato su Il Politecnico giornale dell’Ingegnere
Architetto Civile e Industriale (da Costruire in Lombardia 1880-1980: Rete e infrastruttura territoriali, Ed. Electa, Milano, 1984, p.26)

Un ritratto dell’Ingegner Carlo Mira

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Il 2014 mi è sembrato l’anno giusto per passare dal progetto ai fatti, sopratutto nel caso di un plastico sulla Metropolitana di Milano. Dopo un vecchio tentativo sulla metropolitana di Londra, in realtà mai concluso, era da tempo che volevo realizzare un modello in scala H0 (una scala da modellisimo ferroviario, pari a 1:87). Scartata una prima versione che prevedeva la realizzazione dell’intera stazione San Babila, sia per la banchina, che per il mezzanino e il piano strada, per motivi di costi e di spazio, alla fine è nato il progetto per un dettaglio in scala 1:43,5 (sempre un standard del modellismo denominata “0″).

Tutto ciò è stato possibile anche grande alla scoperta di un BLOG “DaTrains” di Silvio Assi, un appassionato di modellismo ferroviario di cui ho apprezzato subito le abilità pratiche e la qualità delle scelte architettoniche e urbanistiche. Dopo una serie di progetti e ipotesi alla fine siamo arrivati a scegliere la sezione riprodotto nella bozza qui sotto. Dopo è seguito un lavoro di ricostruzione dei materiali tramite l’uso dell’archvio da me raccolto negli anni.

Per i rimandi ai dettagli realizzativi vi rimando allo stesso blog. Il modello sarà pronto prima del 50° anniversario e sarà una riproduzione più possibile fedele dello stato originario della metropolitana rossa, incluso il segnale “MM” bianco su fondo rosso con il suo sostegno verniciato in marrone come i sostegni del corrimano.

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Ecco subito un secondo post della lunga serie che accompagnerà i festeggiamenti per i 50 anni della Metropolitana di MIlano.

I tornelli, o le tornelle come in uso nel 1964, furono anch’esse disegnate dal team di Albini. questo dispositivo, finalizzato all’obliterazione dei titoli di viaggio, ma anche alla gestione dei flussi ed al conteggio degli utenti, fu fatto oggetto di una ricerca estetica al pari di tutto il resto dell’allestimento. Il risultato produsse dei tornelli in metallo, verniciati con i colori tipici del resto dell’architettura, e caratterizzati dalla componente ruotante a forma di trifoglio in metallo lucidato a vista. Per il percorso di uscita furono invece disegnati dei piccoli sportelli metallici, verniciati in marrone e con la sola scritta uscita in bianco, azionati da una pedana posta sotto il pavimento in gomma che ne sbloccava il magnete. Anche questi pannelli sono stati sostituiti con il nuovo tornello standard. Collegata alla linea dei tornelli, in posizione centrale, vi è anche la garitta del dirigente, ovvero dell’operatore di stazione. In origine, secondo il primo progetto, doveva essere costituita da una stazione di alluminio anodizzato color bronzo, come le aree commerciali con il fronte costituito da un cristallo smaltato e da una fascia perimetrale in basso costituita di Fulget, oltre ad una parte alta completamente vetrata. La versione definitiva, ora rimossa, era invece chiusa da lamierino rosso nella parte bassa.

Ben poco è noto sulla ditta produttrice, che dovrebbe essere la AMF SASIB di Bologna, la quale esiste tuttora, ma intervistata in meirto non ha saputo fornire alcuna documentazione in merito.

DALLA “DOMENICA DEL CORRIERE”

CARTOLINE D’EPOCA

L’UNICO TORNELLO ANCORA VISIBILE AL PUBBLICO
CONSERVATO PRESSO IL MUSEO OGLIARI DI RANCO

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E’ giunta l’ora di iniziare un percordo celebrativo per festeggiare i 50 anni della Metropolitana di Milano. Mancano ormai pochi mesi al 1° novembre, quando la rossa compirà il suo primo mezzo secolo di vita, ancora in forma assolutamente smagliante. Un festeggiamente che sembra interessare pochi affezionati, nonostante la nostra rossa cittadina sia frequentata da centinaia di migliaia di persone ogni giorno e praticamente abbia conosciuto tutti i suoi concittadini, ma questo è un dicorso che verrà affrontato più avanti.

Nel 1958 partono i lavori nel primo lotto, che vedono l’impiego di 900 operai, i quali già nel maggio del 1959 riescono a consegnare al rustico la prima tratta affidatagli. E’ tuttavia impossibile dare un’idea di quanto imponente fosse quest’opera per la città di Milano senza illustrare prima il metodo costruttivo delle gallerie, che impose lo stravolgimento della viabilità superficiale.

La larghezza della galleria è di 7,5 metri con altezza libera pari a 3,9 metri, in modo da far transitare due vetture dalla larghezza di 2,85 metri. I tunnel hanno la copertura a non meno di 3 metri dalla superficie e il piano dei binari a non meno di 8 metri. La procedura adottata per la costruzione è una derivazione del sistema “cut&cover” londinese, usato già nel 1863 per la costruzione delle prima metropolitana, ma con una differenza sostanziale, tanto da prendere il nome di “metodo Milano”. Tale metodo prevede prima la costruzione dei piedritti, poi lo scavo del terreno fino al punto di appoggio della copertura e il getto della stessa. Successivamente viene ripristinata la viabilità di superficie e si procede, in sotterraneo, alla scavo e alla costruzione dell’arco rovescio. Per la costruzione dei piedritti sono stati adottati due metodi differenti, il primo consiste nello scavare due trincee parallele armate con paratie metalliche, il secondo invece prevede l’uso dei fanghi betonici, in questo caso la parete è composta o da pali in cemento armato strettamente affiancati e alternati, o da una parete continua, sistema questo, davvero innovativo per l’epoca. Si procede scavando due piccole trincee di 1,5 m. di profondità ed un metro di larghezza, poi rivestito con mattoni per creare una “guida” per lo scavo completo; poi la speciale scavatrice con benna mordente effettua lo scavo che è costantemente riempito con una soluzione di bentonite in acqua, capace di non far cedere le pareti dello scavo, poi viene immersa l’armatura metallica e infine viene gettato il cemento che depositandosi sul basso spinge via i fanghi. Tale procedimento venne chiamato ICOS vista la collaborazione con l’omonima Società.

Durante la fase di costruzione, che era relativamente veloce, emerse in pieno quanto il metodo adottato fosse impegnativo per il traffico di superficie e anche per i più elementari spostamenti pedonali, così fin da subito, per i lotti in centro città, si accelerò la velocità esecutiva istituendo tre turni di lavoro a coprire l’intero arco delle 24 ore. Nonostante questa soluzione portasse con se il problema del disturbo sonoro durante la notte. Tuttavia questa decisione ebbe i suoi vantaggi, tanto che per il settimo lotto, ovvero via Dante e piazza Cordusio i lavori durarono appena 350 giorni.
Particolarmente impegnativa si prospettava la tratta di via Boccaccio, dove le pareti del tunnel sarebbero dovute passare a meno di un metro dalle fondamenta delle case, tuttavia tramite l’uso del sistema ICOS (fanghi betonici), la realizzazione non diede particolari problemi, fatto salvo per un edificio in via Gioberti già danneggiato durante i bombardamenti, che fu doverosamente puntellato. Comunque, onde evitare qualsiasi crollo, MM provvide a monitorare tutti gli edifici costantemente. Un altro punto problematico fu il Palazzo della Ragione in via Mercanti, edificio di epoca medioevale, reso ancora più instabile dal grande carico dovuto alla presenza al suo interno dell’archivio notarile, per questo motivo fu necessario incatenare le volte ed armarle con robuste centinature di legno, poi si provvide a rinforzare le fondazioni con paletti gettati in opera in fori trivellati a raggiera detti “pali radice”. Inoltre il Broletto così come molti altri edifici a portici nel centro furono poderosamente centinati con travi in legno.
Anche per le stazioni, a partire da Cordusio, si decise di gettare prima il solaio e poi, dopo aver ripristinato la viabilità superficiale, costruire il solaio del mezzanino e il piano banchina.

Ma l’uso del “metodo Milano”, per quanto innovativo, non era certo immune dal portare incredibili disagi a Milano; le linee tranviarie e filoviarie, che allora erano molto più diffuse di oggi, erano state spostate; in vari punti come il Cordusio, San Babila o via Senato erano stati costruiti ponti metallici di tipo militare “Bailey” per passare sui cantieri, oppure il ponte pedonale ad arco sempre in Piazza San Babila, vagamente somigliante ai ponti veneziani. Anche l’economia locale ne soffrì, infatti gli scavi interessarono aree commerciali come Corso Vittorio Emanuele, Via Dante, Corso Buenos Aires e non solo, e molti negozi ebbero gravi perdite tanto che alcuni arrivarono a chiudere. Dai giornali dell’epoca: “… Strade occupate da cantieri, voragini aperte dalle scavatrici, grosse betoniere in funzione, ciclopiche opere in cemento armato, e la viabilità rivoluzionata, si che gli stessi cittadini faticano a districarsi.[…] per i lavori della MM e per le esigenze della Fiera, possono avvenire dei mutamenti nei sensi unici, da un giorno all’altro.[…] Entro la fine dell’anno, il terremoto viario sarà terminato e le strade verrano tutte restituite alla circolazione di superficie. …” (Domenica del Corriere 16 aprile 1961). Oppure “Ogni giorno una novità. I lavori continuano, mai sufficientemente veloci per chi segue passo passo l’avanzare delle paratie e dei piedritti, le gettate di calcestruzzo e di cemento armato, in modo impressionante invece per chi, come noi, va a dare una capatina ogni tanto” (Città di Milano).

Non è da trascurare nemmeno il numero di reperti archeologici riemersi durante gli scavi, dato la loro superficialità; a dirigere i lavori di recupero fu il Sovrintendente per i Beni Artistici e Storici professor Mirabella Roberti, che individuò sia una tratto di basolato romano in ottime condizione in via Mercanti sia le fondazioni dell’antica cattedrale di Santa Tecla e del prospiciente battistero di San Giovanni, risalenti al IV secolo d.C., a tutt’oggi visitabili sia dal Duomo sia nella relativa stazione. Anche nell’area dinnanzi alla chiesa di San Carlo, in corso Vittorio Emanuele, furono fatti importanti ritrovamenti, anche in quel caso si decise di esporli all’interno di un sottopassaggio costruito insieme alla metropolitana ma da essa indipendente. Tale sottopassaggio fu poi chiuso e le scale di accesso demolite, finendo così per essere dimenticato.

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Ed eccoci al 2014, il 9 gennaio si chiuderà il 150° anno della metropolitana di Londra; i festeggiamenti sono durati quasi 12 mesi, seguendo iniziative di ogni genere, da quelle prettamente ferroviarie, come il far circolare i treni a vapore lungo le antiche tratte, o più strettamente artistiche come la mostra sui manifesti tenutasi al London Transport Museum. Con i festeggiamenti si sono susseguite una marea di pubblicazioni che affrontano il tema sotto ogni aspetto, centinaia di gadget e un impressionante numero di articoli scritti sui quotidiani e i blog di tutto il mondo per celebrare questo anniversario solo in apparenza così specialistico, in realtà fondamentale per la vita della gran parte dei londinesi e di molti ospiti che sono passati per quella città e per tutti coloro i quali usufruiscono di questa invenzione ogni giorno o anche solo una volta nelle 155 città nel mondo che ne ospitano una.

Ma il 2014 sarà sopratutto l’anno del 50° della metropolitana di Milano. Ebbene il 1° novembre 2014 la metropolitana di Milano compirà 50 anni. Novantanove in meno di quella di Londra, ma molti anni in più rispetto alla media della sue “sorelle”. La speranza che anche per Milano si sussegua un dignitoso numero di eventi si scontra con le ristrettezze economiche che ci affliggono, tuttavia non può essere una scusa per non mettere in campo il massimo impegno possibile. In tal senso sto seguendo alcuni progetti in collaborazione con la Fondazione Albini, che dovrebbero portate ad un adeguato festeggiamento e non solo una semplice commemorazione.

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