E’ da tempo che sto cercando testimonianze viventi dell’epoca in cui nacque la Linea 1; qualcuno sono riuscito a trovarlo e intervistarlo, altri li ho potuti solo conoscere. Ma gli anni passano e la cosa si fa sempre più difficile. Nel frattempo, finalmente è arrivato il libro su cui ho lavorato per tanti anni, e la sua presentazione. In questa occasione un mio vicino di casa, con cui collaboro alla cura ostinata del condominio in cui viviamo, mi ha manifestato l’intenzione di essere presente alla presentazione: così, in amicizia. Poi, qualche giorno dopo, candidamente mi si avvicina e mi dice: “ma lo sai che mio padre era l’assessore che diede l’avvio alla Metro 1 e io ero presente all’inaugurazione? Ho fatto anche un viaggio sul primo treno!” Ma come? Tante ricerche e poi avevo un testimone dietro l’angolo? Giusto poi per concludere, mi dice anche “ma lo sai che c’è una foto di mio padre nel libro?, sì a pagina 69, si intravede dietro un signore alla destra della signora che taglia il nastro!”. Qualcuno dirà: coincidenze!
Ecco i ricordi che ha voluto scrivere subito dopo aver scoperto la coincidenza. Per precisione la foto in oggetto è a pagina 69, foto 2.1.6, con in prima fila la vedova del Dott. Vigorelli, il primo presidente della MM morto qualche giorno prima che venisse inaugurata la linea Rossa. Trovate una copia della foto in questo post (una versione di poco differente). Il nostro testimone è il Dott. Avv. Renato Amoroso, figlio dell’assessore Dott. Angelo Amoroso, che fu anche sindaco di Milano tra 13/01/1964 e il 17/02/1964, quando l’allora sindaco Gino Cassinis morì improvvisamente.
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IO C’ERO …..E MI RICORDO BENE
di Renato Amoroso
Durante la presentazione di un libro che ripercorreva la storia della prima linea della Metropolitana a Milano, mi sono reso conto di colpo che io ero presente a quel fatto e ne ero testimone diretto. Mi sono reso conto, quindi, di avere avuto cognizione diretta di una infinità di fatti, emozioni, avvenimenti importanti della nostra epoca, quantomeno dal 1960 in poi. Mi sono anche ricordato della fortuna di avere potuto conoscere e di avere raccolto i racconti e le confidenze di molte persone che avevano vissuto la guerra, la dittatura e la successiva ricostruzione del paese. Oggi questi testimoni non ci sono più. Ma io ci sono ancora e di ciò che visto, ascoltato e vissuto voglio parlare e scrivere, perché la memoria è la radice della quale siamo fatti.
Cantieri in piazza San Babila:
AMARCORD
Avevo 17 anni e una gran fame di conoscere quello che succedeva intorno a me. Per ragioni che non stò a spiegare, avevo la fortuna di poter accedere a notizie tecniche autentiche, nonché alle varie problematiche che la costruzione di una Metropolitana poteva comportare in una città che non si fermava (e non si ferma) mai. La linea rossa fu costruita con la tecnica cosiddetta “a cielo aperto”; ciò voleva dire chiudere la strada al traffico, sollevare l’asfalto, costruire ai due lati due larghe fosse nelle quali venivano edificati cementi armati, su tali colonne veniva poi edificata una cupola ad arco, si ricostruiva la sede stradale che veniva riaperta al traffico, mentre sotto la detta cupola venivano svolti i lavori di vera e propria costruzione del tunnel, degli impianti, i binari e tutto il resto. Con buona pace dei signori ingegneri ed architetti, ciò che poteva essere percepito dal popolo era questo. Ciò che non ci si aspettava fu di trovare nel sottosuolo una infinità di tubi, condotte, cavi, che trasportavano dall’acqua potabile, all’elettricità, al telefono, al gas, alla fognatura, senza una mappa del loro tracciato. Fu quindi necessario dare il via ad una programmazione centralizzata della collocazione, presente e futura, di tutti questi servizi, nonché della loro mappatura. Per noi ragazzi di allora lo spettacolo di un cantiere di simili dimensioni fu straordinario e inconsueto. Non c’era la possibilità di ricorrere a immagini diffuse attraverso canali di informazioni: restava solo l’esperienza diretta, e ne abbiamo fatto indigestione. Andare a vedere costituiva una irresistibile tentazione, e non abbiamo neppure tentato di resistervi.
PARTECIPARE ([1])
Costruire una linea metropolitana sotto una città moderna, che doveva restare pienamente attiva, fu un atto rivoluzionario. Non mancarono le proteste (e i soliti mugugni, quando si cerca di fare qualcosa di nuovo) fondate sul fastidio arrecato: non c’è dubbio che opere di questa entità producano rumore, polvere e disagi di movimento. La strategia vincente fu quella di coinvolgere i milanesi direttamente: il finanziamento fu coperto tramite l’emissione di obbligazioni. Già allora il concetto non era così facile da comprendere; al milanese imbruttito (oggi si definisce così) veniva da chiedersi: “ma già pago le tasse, perché vogliono degli altri soldi da me? Li vadano a prendere ai ricchi”. L’idea che i cittadini dovessero prestare dei soldi alla propria città, con la promessa di averli in restituzione a scadenza prefissata, con interessi pagati durante il periodo convenuto, fu difficile da fare accettare. Oggi tutti parlano di spread, di bund tedeschi, di recessione, di paesi emergenti, di megatrend, senza sapere di che cosa si tratti, ma tanto l’importante è far finta di sapere. In realtà, ora come allora, nessuno era obbligato a fare niente, l’unica forma di risparmio conosciuta era il libretto postale; si trattò di informare ma soprattutto di coinvolgere. Gli anni 60 sono anche passati alla storia come il “boom economico” italiano, con la diffusione della Fiat 600 e le cambiali a fiumi. Il finanziamento della metropolitana era un argomento a parte: per la prima volta si potè diffondere il concetto di “investimento” nella propria città. Questo fu percepito anche da noi diciassettenni che danaro in tasca non ne abbiamo mai avuto. La voglia di costruire la nostra vita, che potesse essere interamente “nostra”, passava attraverso la raccolta di tutte le informazioni utili (senza Internet ma andando in biblioteca a documentarsi); quindi procedevamo all’elaborazione di quelle notizie, all’ascolto di chi ci aveva preceduto, e aveva voglia di spiegarci le cose, e la “gavetta” del provare a pensare e poi a fare. Non avevamo voce in capitolo ([2]), nessuno ci ascoltava ed eravamo considerati solo persone che facevano casino e gente che doveva obbedire, ma non fu tutto così. Abbiamo avuto genitori illuminati, gente che aveva passato la guerra e che aveva dato corpo ad una nuova forma di assunzione di responsabilità ([3]). Il Consiglio comunale della città (80 membri) era composto da persone che oggi definiremmo provenienti dalla “società civile”; si trattava di persone che avevano un proprio lavoro, dei propri impegni familiari, delle proprie attività (con propri redditi che garantivano la autosufficienza) e che ad esse aggiungevano l’ulteriore impegno di occuparsi di quanto la città avesse bisogno. E il concetto di “città” era quello di un insieme di persone, diverse nella provenienza, nelle capacità, nelle aspirazioni, che condividevano un luogo, delle risorse, un presente quale base per un futuro. Un messaggio anche per il presente, fatto di propaganda becera, di odio seminato a piene mani tramite i mass media, di selfie cretini, di ignoranti al potere e di discriminazione in ogni dove? Possibile non accorgersi che la diversità è una ricchezza e che tutti siamo uguali dinanzi ai diritti e ai doveri ma siamo tutte persone una diversa dall’altra?
LE AZIENDE E IL PERSONALE
Una delle questioni più spinose, sul piano programmatico politico e amministrativo, fu decidere se la gestione della MM dovesse essere affidata all’ATM o se si dovesse costituire una nuova azienda municipalizzata, del tutto autonoma ([4]). Non fu questione di poco conto; da un lato vi poteva essere un progetto di concorrenzialità che, peraltro, ancora non si era fatto strada con fondatezza nelle convinzioni amministrative. Molti servizi di pubblica utilità erano ancora di competenza esclusiva di aziende pubbliche, in regime di sostanziale monopolio. Poi vi era il problema del costo del trasporto: il prezzo del biglietto doveva essere assolutamente politico, dato che l’utenza era per lo più costituita da operai, impiegati e studenti, quindi di gruppi familiari di basso reddito. Di conseguenza i costi maggiori restavano a carico dell’ente pubblico. Avere due enti distinti, per i mezzi di superficie e in sotterranea, avrebbe comportato il rischio dell’insufficienza finanziaria di una di esse. Il Comune non avrebbe potuto sostenere i costi relativi. Nacque anche un problema di natura sindacale, relativo al personale viaggiante. Sui mezzi di superficie era ancora presente il bigliettaio, ma era già programmata la sua eliminazione. Si doveva quindi passare alla vendita sistematica e capillare dei biglietti fuori dalle vetture e gli utenti dovevano abituarsi a salire sul mezzo di trasporto muniti già di biglietto. Oggi tutto questo è ampiamente superato dagli abbonamenti e dalle molteplici possibilità di pagare il prezzo tramite strumenti elettronici. Molti bigliettai avrebbero dovuto essere convertiti in conducenti, con i conseguenti corsi di abilitazione. La guida di un autobus nelle strade cittadine non è come guidare un convoglio della MM; c’era anche da abituarsi al concetto di controllo tecnologico del traffico in galleria. Da parte dei sindacati su sollevato il problema del lavoro sotto terra: molti non lo gradivano e chiesero indennità speciali. Fu poi deciso che il servizio fosse affidato all’ATM e fu una decisione politica di grande impegno. Anche tale aspetto diede a noi giovani il senso dell’onere di amministrare. Fu oggetto di intense discussioni fra di noi, cittadini in pectore, affamati di capacità che ancora non avevamo ma che eravamo disposti ad acquisire con un lavoro serio di documentazione ed esperienza.
PRESENTE E FUTURO
Eravamo profondamente immersi in una realtà dei fatti, nella quale ci sentivamo stimolati a conoscere ed a pensare. Con la tempesta ormonale che caratterizza sempre l’adolescenza, volevamo conquistare il mondo e per questo occorreva lottare. La costruzione di un’opera che appariva gigantesca ci fece sentire destinatari immediati di un progetto fondamentale, qualcosa che ci avrebbe proiettato verso qualcosa di infinitamente più grande della nostra dimensione. La MM eravamo noi, era la vita che ci attendeva, dovevamo farla nostra, entrando in essa fin dal cantiere. Sapevamo dell’esistenza della Metro a Parigi, della quale si diceva un gran bene; ma averla sotto i nostri piedi era un’altra cosa. La nostra curiosità era sana perché voglia di sapere: ancora adesso, quando salgo sulla linea 5, totalmente automatizzata e senza conducente, osservo ogni dettaglio perché deve diventare “mio”, come la “mia” città. Gli psicologi la chiamano “senso di appartenenza”; non c’è bisogno di scomodare gli esperti che tutto sanno. Quando sento dire “roba del Comun, roba de nissun” (cose del Comune, cose di nessuno) mi sorge dalle viscere un sacro furore, che aumenta la mia pressione sistolica e diastolica, la frequenza cardiaca, mobilita le sinapsi, accentua gli istinti omicidi e, in sintesi, mi fa molto male. L’appartenenza è un viaggio di andata e ritorno, nel quale ognuno dà alla propria città e riceve da essa, intesa quale comunità di persone. Il presente altro non è che il prodotto di un passato, di cui conviene conservare memoria: il fiore di una pianta non potrebbe allietare i nostri occhi se non ci fossero radici e se non fossero state date le attenzioni necessarie. Quello che siamo noi oggi è quanto hanno fatto per noi coloro che ci hanno preceduto, unito a quanto abbiamo voluto dare di noi stessi. Ma il presente è anche la base di partenza per il futuro, ed anche questo ci appartiene. Anche il più illuso dei sognatori è comunque proiettato verso qualcosa che verrà, anche verso quello che non riuscirà a realizzare. Se pensiamo che tutto ci sia dovuto e che non dobbiamo fare altro che stare fermi, seduti sul divano di casa nostra ad aspettare che quanto desiderato ci venga portato su un vassoio d’argento, allora non siamo neppure delle persone. Siamo molluschi invertebrati o (come si diceva a Fantozzi) “merdacce”. Negli anni in cui nasceva la Metropolitana c’era una diffusissima voglia di cambiamento in meglio, cioè di progresso, tecnologico e umano. Vi furono lotte per i diritti civili, rivendicazioni economiche e sostegni fra nazioni. Eravamo fortemente progressisti.
Adesso che abbiamo ottenuto, almeno in media, un certo benessere economico, vogliamo soltanto conservare la ricchezza prodotta. Siamo quindi diventati conservatori, ma soprattutto vittime predestinate dei seminatori di odio e terrore. Il discorso si fa troppo lungo e filosofico. E pensare che da ragazzo sognavo di guidare il tram!
ESPERIMENTI
Andando verso l’abolizione del bigliettaio, il passeggero aveva l’obbligo di acquistare il biglietto prima di salire a bordo e aveva l’obbligo di “obliterare” il biglietto all’ingresso del mezzo di trasporto, presso apposite macchinette, del tutto inventate con la tecnologia di allora. Il primo biglietto fu stampato sulla falsa riga di quello in corso a Parigi e prevedeva l’obbligo di inserimento in una macchina che ne avrebbe asportato una mezza luna, posta all’estremo del biglietto e caratterizzata da tre piccole strisce magnetizzate ([5]). Naturalmente la fantasia strafottente dei giovani, unita alla consueta voglia di sfidare gli adulti, ci portò a verificare sul campo la efficienza del sistema. Fu una frana! Le macchinette tagliavano la mezzaluna da entrambi i lati, senza distinzione fra la parte magnetizzata e quella priva di segni; la conseguenza fu che con un biglietto si potevano effettuare due corse. Tuttavia questa scoperta non divenne un mezzo occulto per viaggiare gratis; il nostro senso di civismo ci portò a segnalare il difetto all’ATM, che provvide alle misure adeguate. A scuola si insegnava ancora “educazione civica”…..ma era da poco finita la terza guerra punica! ([6]) La tecnologia di allora era veramente sperimentale, non esisteva l’elettronica, i componenti erano prevalentemente meccanici, con qualche avventura magnetica. La nostra capacità (o fantasia) di massacrare qualsiasi cosa mise a dura prova le nuove tecnologie, ma la voglia di essere parte della rivoluzione fu più forte di ogni speculazione.
CURIOSITA’
Conoscevamo il treno ed anche il tram; entrambi avevano una linea elettrica aerea, il treno con il pantografo e il tram con la “perteghetta”, detta anche “trolley”.
El tram (o tramvai) a l’è ‘na forma de trasport publich in su rodaia, tipich, ma minga esclusiv, del trasport urban. L’è distint del treno perchè el circola a vista, quand che el treno el viaggia a segnalament. Quell che ‘l guida el tram a l’è ciamaa manetta, per via del sistema de guida di tram de Milan che doperen ‘na manetta.
Oggi anche il tram è dotato di un pantografo, del tutto simile al treno. Per la prima linea della Metro fu adottata una soluzione diversa, tuttora in uso; fu chiamata la “terza rotaia”. A fianco dei due tradizionali binari, corre una terza rotaia posta in verticale (evidenziata dai sostegni chiari) che conduce la tensione elettrica. Le vettura sono dotate di pattini laterali che strisciano sulla terza rotaia, conducendo la tensione elettrica ai motori. Tale soluzione creò in noi molta curiosità e tante critiche, per i rischi di folgorazione di persone che si fossero trovate accidentalmente fra i binari. Ci fu spiegato che tale soluzione permetteva di scavare gallerie più basse e quindi meno invasive. Le nuove linee della MM di Milano non sono più alimentate con la terza rotaia, ma con il comune pantografo sulla parte superiore della vettura. La linea che porta la tensione elettrica è identica a quella in uso per i treni in superficie. Ciò ha permesso l’integrazione delle linee sotterranee con altre tratte già esistenti (quali ad esempio le “linee celeri dell’Adda” oggi utilizzate dalla linea 2 verde, fino a Gessate e Cologno). Tale è anche la soluzione usata per il cosiddetto “passante ferroviario” ([7])
LE NUOVE TECNICHE DI SCAVO
Dopo i lavori “a cielo aperto” venne adottata la tecnica detta dello “scudo”. La galleria procedeva con l’inserimento di archi prefabbricati, ben visibili nella foto, che costituivano la struttura della futura galleria. Anche questa fu una attrazione irresistibile, anche se era molto difficile poterla vedere. Ma ogni tanto c’era qualche apertura dei cantieri alle visite e ad essa non potevo mancare. La voglia di essere parte non è mai venuta meno. Poi è arrivata “la talpa”, alla quale venne imposto anche un nome “di battesimo” a seconda del tratto di linea interessato. Come si fa a non curiosare intorno a simili innovazioni? Come si può restare indifferenti e considerare tali fatti estranei a noi stessi, considerandoli solo quali strumenti tecnici di esclusiva pertinenza di progettisti ed imprese costruttrici? Questa alienazione non mi è mai appartenuta. Anche adesso che non ho più 17 anni ed ho scambiato di posto i numeri, queste emozioni sono sempre quelle che danno un senso alla mia vita nella mia città.
IL VIAGGIO INAUGURALE
Oggi forse tutto ciò può apparire banale, ma quando avevo 17 anni e volevo conquistare il mondo, essere a bordo del primo convoglio che attraversava la città sottoterra fu qualcosa di veramente emozionante; ci faceva sentire parte attiva di una rivoluzione che trascinava le nostre vite. Anche se lo spettacolo sottoterra non ha alcunchè di attraente, prendere parte a qualcosa di estremamente complesso, che avevo avuto modo di conoscere, per il quale sapevo che collaboravano molte persone contemporaneamente, mi fece sentire un astronauta che viaggiava verso la luna.
IL MIO PAPA’
C’era anche mio padre, assessore del Comune di Milano per 16 anni e consigliere comunale per 25. Lo accompagnavo spesso e restavo ad ascoltare le discussioni in Consiglio, seduto fra il pubblico. Facevo attenzione e seguivo i discorsi; avevo percepito la serietà delle argomentazioni ed anche delle persone che parlavano. Anche quando facevo fatica a comprendere i contenuti, restava lo stimolo a informarsi: potevo godere della fortuna di leggere i provvedimenti proposti all’assemblea. In quegli anni le discussioni avevano contenuti concreti, con rispetto reciproco: proprio come succede oggi nei talk shows…….([8])
La celebre foto del taglio del nastro (in realtà ne circolano diverse varianti), con, nel cerchio rosso, l’allora assessore Angelo Amoroso.
Mentre scendono la scala (sulla destra), prima il sindaco Pietro Bucalossi e, subito dietro, l’assessore Angelo Amoroso. A destra di Bucalossi, l’assessore On. Meda.
Il ministro Roberto Tremelloni e, alla sua destra (sinistra nella foto), il noto Francesco Ogliari. Faccio notare che Ogliari oltre ad essere forse il più famoso autore italiano di libri sui trasporti, noto avvocato e presidente del Museo della Scienza e della Tecnologia (all’epoca della Tecnica), fu anche il primo amministratore di condominio del caseggiato dove viviamo io e il Dott. Amoroso. Continuano le coincidenze.
Le immagini dell’inaugurazioni sono prese da:
Il Dott. Avv. Renato Amoroso oggi:
(1) Essere parte non essere tutto: sentire le cose come proprie, condividerle con altri. Ciò può anche riguardare sentimenti ed emozioni altrui, quali gioie e dolori che possono essere sentiti come propri. Chi si sente “tutto” ha la superbia di considerare le proprie cose come le uniche serie ed importanti, e le proprie opinioni e scelte come le sole fondate sulla verità, di cui egli soltanto è in possesso.
(2) L’espressione è tratta dalle abbazie di monaci di diversa estrazione; la loro vita era caratterizzata dalla preghiera e dal lavoro. Al vespro ci si poteva riunire nel “capitolo”, in genere un luogo a pianta circolare dove ognuno poteva esprimere la propria opinione. Da qui “avere voce in capitolo”.
(3) Il fatto di “Rispondere del proprio operato”, quindi di caricarsi degli effetti negativi delle proprie azioni a qualsiasi livello, contrattuale, economico, morale.
(4) So di queste questioni perché in quell’epoca mio padre Angelo Amoroso era l’assessore alle Aziende Municipalizzate, mi parlava di queste cose, me le spiegava e potevo leggere le bozze delle delibere che venivano poste all’ordine del giorno della Giunta e del Consiglio Comunale di Milano. Ecco perché posso dire “mi ricordo”.
(5) In evidenza sulla destra del biglietto, nella sua prima versione.
(6) Per coloro che se ne fossero dimenticati (e anche per il ministro del lavoro, che ha tanto bisogno di sapere) si tratta di tre guerre combattute fra Roma e Cartagine (città del nord dell’Africa, oggi Tunisia). La terza fu combattuta fra il 149 a.c. e il 146 a.c. – non è un errore di stampa, dato che nella datazione degli anni anteriori alla nascita di Gesù Cristo, la numerazione delle date deve essere decrescente.
(7) In altre parole, sotto la città transitano normali treni, provenienti, ad esempio, da nord, che attraversano la città nel sottosuolo e riemergono a sud per continuare il loro programmato viaggio oltre la città. Nel tratto urbano svolgono un servizio simile a quello della metropolitana e anche questi treni possono essere usati con il biglietto ordinario di viaggio.
(8) Popolati esclusivamente da ignoranti, villani, volgari apprendisti dittatori, appositamente invitati per dare scandalo e far crescere gli indici di ascolto, così gli sponsor venditori di pubblicità saranno contenti e pagheranno volentieri sempre di più. E gli ascoltatori si bevono di tutto come se fosse verità.
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