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Mentre continua l’operazione di sostituzione di alcune scale mobili delle Linee 1 e 2 a Milano, faccio alcune precisazioni riguardo questo fondamentale marchingegno.


Il primo tentativo di inserire un sistema di risalita meccanico e continuo nelle metropolitane fu, cosa poco sorprendente, a Londra. Gli ascensori, in uso ancora oggi, hanno l’inconveniente di non fornire un servizio continuo dovendo caricare e scaricare le persone ad ognuno dei due piani. Sebbene a Londra questi ascensori possono contenere fino a cinquanta persone, hanno meccanismi automatizzati e alte velocità di manovra, non sono rari episodi di congestione. Il primo tentativo fu una scala mobile, anzi un tappeto mobile elicoidale da inserire nel vano di uno degli ascensori della stazione Holloway Road della Piccadilly Line nel 1910. Si trattava di due tappeti a spirale rivestiti da tasselli in teck; furono pensati e realizzati dalla Reno Eletric Stairways and ELevator Company dell’inventore americano Jesse Reno. Tuttavia non risulta che abbiano mai preso servizio e nel già nel 1911fu smontata e parti del motore sepolte sotto il pavimento nel quale furono ritrovate negli anni ’80 e successivamente esposte al London Transport Museum.

Qui il link dal sito del museo: http://www.ltmcollection.org/engineering/objects/object.html?IXinv=1999/876

Solo il 4 ottobre 1911, sempre a Londra, fu aperta al pubblico la prima scala mobile in una metropolitana. Fu installata nella stazione Earl’s Court per collegare le banchine della Piccadilly Line a quelle della District Line; ancora oggi nelle stazioni sono in uso sia le scale mobili sia gli ascensori (ovviamente rinnovati). Queste scale mobili furono realizzate dalla Otis Elevator Company.

Una piccola curiosità, sempre a Londra fu realizzato nel 1935 il primo tunnel obliquo di collegamento tra banchine e mezzanino con quattro scale mobili. Fu creato per la stazione Holborn che fu all’epoca oggetto di una completa ristrutturazione comprendente anche l’eliminazione degli ascensori.

© 2013 Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore.


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Il cantiere per la ristrutturazione della fermata Centrale FS delle Linee 2 e 3 è stato aperto nel 2010, e adesso, dopo le vicissitudini dovute a problemi della ditta appaltatrice, ecco il primo risultato visibile. La fermata della Linea 2 fu inaugurata il 27 aprile 1970, quella della Linea 3 il 3 maggio 1990. Il progetto architettonico fu affidato nel primo caso sempre al team Albini-Helg-Noorda, e nel secondo caso al team Cappelli – Dini; va notato, però, che la conformazione delle due stazioni, come sempre progettata dalla MM, ha alcune fondamentali diversità rispetto allo standard delle due linee. I soffitti più alti, la presenza di pilastri a sezione circolare, il sistema di risalita e il grande foro a cielo aperto costituiscono un unicum, con la stazione Amendola; uno dei pochi casi dove l’intervento degli architetti fu maggiore. Per la linea 3 tutto cambia a causa della necessità di connettere le due linee, così i corridoi di connessione sono situati sotto le banchine anziché sopra.

Con i lavori di ristrutturazione della Stazione Centrale, Grandi Stazioni ebbe anche l’incarico di ristrutturare la piazza Duca d’Aosta e tutto il complesso di ambienti ipogei in essa contenuti. L’intera operazione costituisce un lotto di appalto autonomo; questo fece sì che i lavori partissero già in ritardo, inoltre il fallimento della ditta appaltatrice e il procedere della crisi non favorirono la conclusione dei lavori. Così, ripresi i cantieri nel 2012, dapprima si è proceduto alla riapertura, ancora parziale, della piazza ripavimentata, e adesso si possono osservare i primi frutti della ristrutturazione della stazione. Recentemente l’amministrazione comunale è intervenuta su questo cantiere chiedendo un’accelerazione dei lavori anche in vista dell’Expo, la speranza è che finiscano anche prima.

Serie di rendering diffusi nel 2011.

Il primo ambiente ristrutturato è proprio il punto focale dell’intera struttura, il foro o “buco” dal quale si possono vedere, uscendo dai tornelli, sia la Stazione Centrale, sia il grattacielo Pirelli. Il buco, come previsto, è stato “riempito” con un nuovo blocco di scale fisse e la predisposizione per un ascensore da installare proprio al centro. Dal punto di vista architettonico vi sono notevoli differenze rispetto ai rendering diffusi qualche anno fa, e molti sono i dettagli da analizzare. Ovviamente il foro, così modificato, perderà in parte le sue caratteristiche per permettere la creazione di scale fisse in sostituzione di quelle che verranno cancellate dalla presenza dei tappeti mobili. Inoltre l’ascensore, che precluderà l’ingresso della luce e la visuale, andrà sì a colmare una mancanza ormai insostenibile, ma di fatto farà si che chi la utilizzerà dovrà poi attraversare, allo scoperto, una parte della piazza per accedere alla stazione ferroviaria, mentre il resto dell’utenza usufruirà di un percorso completamente coperto.


Dal punto di vista dei dettagli il progetto si divide in due, da un lato l’utilizzo del serizzo ghiandone per i gradini e delle canaline luminose sono chiaramente in connessione con l’allestimento originale (con ovvio aggiornamento tecnologico). Anche la colorazione e il trattamento superficiale dei pilastri è pienamente iscrivibile nello stile albiniano; l’originale intenzione di ricoprire con rivestimenti di acciaio queste strutture sembra essere stata cancellata. Il corrimano, invece, in alcuni tratti sembra voler riprendere la versione originale, per essere completo manca il colore verde; mentre nel lato verso l’ascensore è di forma e tipo completamente diverso. In fondo questo è anche spiegabile con il fatto che in origine la balaustra era sempre costituita da un muro e questo avrebbe appesantito troppo la struttura. Quello che cambia è nuovamente il pavimento, con il ritorno del gres porcellanato grigio, che in passato fu oggetto di molte critiche, in una versione simile a quello usato nella fermata Loreto, quindi antiscivolo. Nel pavimento sono già state inserite le piastrelle Loges per la guida dei non vedenti.

Il nuovo pavimento e quello vecchio.

Una colonna restaurata, e, ovviamente, già sporcata.

Il corrimano delle scale.

Il colore scelto è sicuramente il migliore tra quelli utilizzati nelle ristrutturazioni degli ultimi anni.

Il nuovo corrimano che richiama quelli originali.

I pannelli originali ancora esistenti.

La colonna nell’allestimento originale, dopo 40 anni di vita.

La base per l’istallazione dell’ascensore.

Ancora mistero sulla permanenza, assai auspicata, dei pannelli di acciaio smaltato originali, per adesso ancora tutti presenti, come presenti erano nei rendering. Opportunamente ripuliti e reinstallati sarebbero in grado di mantenere una delle caratteristiche fondamentali dell’allestimento originale più piacevoli e funzionali. Per quanto riguarda il resto, è iniziata la rimozione dell’intonaco originale in alcune parti del soffitto e delle scale fisse, per permettere l’installazioni di nuovi impianti e di ripristinare alcuni danni del tempo.

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Oltre ai 150 anni della metropolitana di Londra (e di tutte le metropolitane) quest’anno ricorre l’anniversario anche di un altro caposaldo nella storia dei trasporti e dell’architettura ferroviaria. Compie, infatti, 100 anni la Grand Central Station di New York, inaugurata nel 1913. La Grand Central Station, o meglio il Grand Central Terminal, fu costruita nel pieno della grande epoca delle ferrovie in sostituzione della precedente stazione che, nonostante fosse già di grandi dimensioni, non prevedeva più un numero sufficiente di binari per lo stazionamento dei treni. Allo stesso tempo la necessità di ripensare il percorso di accesso lungo la celebre Park Avenue, composto da 4 binari costantemente congestionati da treni rigorosamente a vapore che riempivano l’intero asse viario di un denso fumo nero. Si pensò quindi di interrare l’intero percorso e per poterlo fare si decise di elettrificare l’intero sistema ferroviario della New York Central Railway. In questo modo il tunnel poteva essere in gran parte interrato e anche ampliato; ma se il tunnel d’accesso era sotto il livello stradale, libero da interferenze che ne limitino l’uso, perché non interrare anche la stazione? E così fu fatto, tutto il piano binario fu diviso in due piani (originariamente per tipo di servizio) e interrato nel pieno centro di Manhattan. In questo modo si venne a formare il più ampio scalo ferroviario del mondo, con la peculiarità di essere completamente invisibile se non per il solo terminal di accesso. Negli anni successivi tutti i lotti di copertura dei binari furono venduti e oggi sono occupati completamente di edifici, che restano comunque sospesi sui due piani di binari.

Se oggi l’idea di interrare una stazione non ha nulla di innovativo per quegli anni (1903-13) fu una rivoluzione urbanistica di notevole importanza, una lezione fondamentale che ancora oggi funziona perfettamente tanto da giustificare continui investimenti, pubblici e privati, che negli Stati Uniti non sono di certo scontati.

La stazione fu progettata in stile Beaux Art agli architetti Charles A. Reed (1858-1911), Allen H Stem (1856-1931), Whitney Warren (1864-1943) e Charles Wetmore (1866-1941); tutti specializzati in architettura ferroviaria. Il committente fu la famiglia Vanderbilt proprietaria della compagnia ferroviaria, oggi la stazione è di proprietà della città di New York ed e rigorosamente protetta come monumento grazie alla famosa battaglia condotta nel 1968 da Jacqueline Kennedy Onassis, che la salvò dalla demolizione. I due livelli hanno 41 binari al primo livello e 26 in quello inferiore, più altri dedicati al ricovero dei treni per un totale che supera i 100 binari. Il tutto corredato da rampe e curve per l’inversione diretta dei treni. L’aspetto architettonico più rilevante e il grande atrio-biglietteria coperto da una volta botte dipinta con una porzione di cielo astrale. I grandi pilastri che sorreggono a volta sono in realtà cavi: contengono quattro colonne di acciaio. Il sovradimensionamento è dovuto alla preventivata possibilità di proseguire con l’innalzamento dell’edifico per creare degli uffici. Molto interessante e innovativo fu anche il sistema dei percorsi, l’accesso ai piani interrati avviene attraverso più sistemi, uno composto da grandi rampe portano rapidamente sia al primo che al secondo livello interrato senza la presenza di alcun scalino (siamo sempre nel 1913), il secondo, più tradizionale, prevede una serie di scale poste lateralmente nella grande sala centrale; l’intero edificio è connesso con le metropolitane tramite corridoi. Negli anni ’60, scampata la demolizione integrale, vennero abbattuti gli edifici adibiti ad uffici e depositi posti dietro la gran hall. Al posto degli stessi è stato costruito il grattacielo della Pan Am (oggi MetLife), opera dell’architetto Walter Gropius, con l’inserimento di un gruppo di scale mobili direttamente nella grande atrio. L’intero edificio è stato restaurato negli anni ’90, dopo ottanta anni di vita, con il ripristino di quasi tutti gli aspetti originali, la pulizia di tutte le superfici e delle grandi vetrate; in quell’occasione fu aggiunta una seconda scala gemella nell’atrio, probabilmente già prevista nel progetto originale ma mai realizzata.

Un particolare interessante e senz’altro poco noto è quello che riguarda la strana forma dei lampadari. Sono composti da strutture metalliche ovali ricoperte da numerose lampadine a bulbo installate a raggiera e senza protezioni in vetro. Questa conformazione che potrebbe essere considerata alquanto bizzarra nasconde una precisa volontà: essendo uno dei primi complessi interamente elettrificati, la posizione ben visibile delle lampadine fu voluta per evidenziare questa peculiarità. I bulbi non dovevano essere celati dietro dei comuni vetri come una candela o una fiammella di gas, bensì perfettamente visibile; in fondo, all’epoca, le lampadine non erano così comuni. Piccola nota eco, oggi le lampadine sono esteticamente uguali ma a basso consumo.

Lettura consigliata: Grand Central. How a train station tranformed America, di Sam Roberts, edito dalla Foreword by Pete Hamill, New York 2013.
Sui lavori di ristrutturazione consiglio questo ottimo volume, ricco anche di foto: Grand Central, gateway to a million lives, di John Belle e Maxime R. Leighton, edito dalla W. W. Norton & Company, New York 2000.

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Recentemente è stato pubblicato un nuovo volume sulla lunga storia grafica della metropolitana di New York: Vignelli Transit Maps, di Peter B. Lloyd con Mark Ovenden, edito dalla Rit Cary Graphic Arts Press. Il nuovo volume è dedicato espressamente alla cosiddetta mappa Vignelli, ovvero lo schema grafico delle linee disegnato dal 1970 dal famoso grafico milanese Massimo Vignelli. Questo mappa è il must assoluto nel settore; non è la sola famosa, la mappa londinese disegnata negli anni ’30 da Beck è senz’altro più nota, anche al pubblico generico, ma la mappa di Vignelli è quella più ricercata dai collezionisti. La sua ricercatezza è dovuta alla scarsa diffusione e durata della sua distribuzione parallelamente al suo grande valore estetico che l’ha resa un oggetto interessante anche al di fuori dei circuiti specializzati a chi s’interessa alla sola tematica dei trasporti su ferro. Questo ha causato la crescita del suo valore economico (rigorosamente per pezzi originali) che tocca le quotazioni solo delle mappe più antiche, come quelle create a Londra prima dell’avvento di Beck, nonostante sia stata stampata tra il 1972 e il 1978.

Mappa progettata da Bob Noorda ma mai usata.

Nel merito questa mappa rappresenta il culmine di quella rivoluzione estetica che coinvolse la subway newyorkese a partire dal 1966. Come già accennato in un precedente post, il tutto fu messo a punto dal team composto dallo stesso Vignelli, e il suo studio Unimark, e da Bob Noorda dopo il successo del progetto Milanese, in cui solo il secondo era direttamente coinvolto. Tutto ciò è perfettamente descritto in un altro volume, pubblicato l’anno scorso Helvetica and the New York City Subway System, di Paul Shaw. C’è da dire che a Milano non risulta al momento lo studio di alcuna mappa da diffondere al pubblico, progettata dal team Albini-Helg-Noorda nel 1964, fatto salvo uno studio per quelle da affiggere in stazione. Ne esiste una, di cui posto l’immagine, conservata alla Raccolta Civica Bertarelli di Milano; non ho mai trovato altre copie o aggiornamenti di questa mappa, né in biblioteche (non mi stupisce) né in vendita. Dal punto di vista grafico, la mappa milanese non sembra figlia di alcuno studio specifico, in parole povere non è esteticamente rilevante. Ci vorranno gli anni ’70 per avere delle mappe graficamente studiate e diffuse in quantità agli utenti, anche di queste vorrei inserire l’immagine, ma essendo grandi come quelle attuali il processo richiede più tempo. Comunque a Milano l’intero capitolo non è stato mai oggetto di uno studio pari a quello di Londra, Parigi, Madrid o New York, anche le ultime versione schematiche non sembrano rispondere a logiche precise né tanto meno standardizzate, chiave portante delle mappe che hanno ottenuto il maggior successo.

Milano: mappa affissa in stazione, prima versione del 1965.

Milano: prima versione nota di mappa distribuita al pubblico, probabilmente risalente al 1965 E’ ignota la diffusione. (Civica raccolta stampe Bertarelli)

Per quanto riguarda il libro, gli autori hanno focalizzato la loro attenzione alle sole mappe. Si parte con un’analisi storica delle due versioni standardizzate precedenti: la Hagstrom Geographic Map e la Salomon Modernist Diagram , la prima disegnata da Andrew G. Hagstrom creata nel 1942 e la seconda disegnata da George Salomon nel 1956, che rappresenta il primo abbozzo della riforma grafica della subway. Successivamente viene ampiamente trattata la genesi della mappa di Vignelli inserendola nel più ampio, ma generico, contesto dell’arrivo del modernismo europeo in America, soprattutto nella grafica. Interessante quanto scrive lo stesso Vignelli a proposito: “Our basic philosophy was that of providing the highest possible level of design service to the industry on the widest possible base of action. The common design philosophy was basically the one of the Bauhaus and Mies [van der Rohe] in particular. The attitude was for objectivity rather than subjectivity in design. The field of action was universal (Uni-Mark = universal market), with the idea of merging design and marketing needs (not wants!) of the world. […] Minimalism is not a style, it is an attitude, a way of being. It’s a fundamental reaction to noise, visual noise, disorder, vulgarity. Minimalism is the pursuit of the essence of things, not the appearance.” Nello specifico l’autore sottolinea come le peculiarità di questa mappa minimalista consistono nella completa astrazione dalla geografia reale dei luoghi, nella decisione di assegnare ad ogni linea un colore diverso, anziché raggrupparle in base al loro transito in Manhattan, oltre al già sperimentato uso di angoli e spessori prefissati.

Copertina della mappa “Salomon” della metropolitana di New York, 1959 (collezione dell’autore)

Copertina della mappa Vignelli del 1972 (collezione dell’autore)

La mappa Vignelli.

Autografo di Vignelli su una sua mappa. (collezione dell’autore)

Manca un riferimento preciso all’esperienza Milanese sebbene Noorda sia, diversamente, citato più volte. La monografia prende poi in considerazione la definizione dei dettagli della mappa e la loro evoluzione nel tempo; infatti sono proprio i nodi complessi, quelli dove più linee si sovrappongono, che causa i maggiori problemi nella stesura grafica della mappa. Nel volume viene anche descritto il progetto grafico per la metropolitana di Washington, opera dello stesso Vignelli. Infine viene descritta la mappa che dal 1979 sostituì quella di Vignelli, e che tuttora è in uso, con le sue vistose differenze come la forte componente geografica, il raggruppamento cromatico delle linee e l’assenza di qualsiasi elemento geometrico prefissato.

Il volume è senz’altro interessante e ben documentato, ricco di riferimenti e con ampia bibliografia e corredo di immagini a colori e bianco e nero. Pare dovesse far parte di una collana di volumi ognuno dedicato ad una delle mappe disegnate per New York. Certamente rientra in un filone che vuole riscoprire una storia estetica dei trasporti che sembra, finalmente, crescere soprattutto nei paesi anglosassoni, dopo una lunga egemonia dei soli aspetti ingegneristici delle metropolitane; un movimento di opinione utile anche, nel creare consapevolezza nei progetti presenti e futuri, si spera.

Sito casa editrice/Publisher website: http://ritpress.rit.edu/publications/books/vignelli-transit-maps.html

A new book about metro has been recently published; it describes the long history of the New York’s subway graphics: Vignelli Transit Maps, by Peter B. Lloyd with Mark Ovenden, published by Rit Cary Graphic Arts Press. This new volume deals exclusively with the so-called Vignelli map, the diagram of the subway lines drawn in 1970 by the famous Milanese graphic designer Massimo Vignelli. This map is a must-have in the field. This is not the only famous map, the London one designed in the ’30s by Beck is certainly better known, even to the general public, but the map of Vignelli is the most wanted by collectors. Its preciousness is due to the low uptake and duration of its distribution, parallel to its great aesthetic value that transformed in a very interesting for every design collector. This cause the continuous growth of its economic value (strictly for original pieces), that touches the quotes that only the oldest maps can reach.

The Vignelli’s map is the culmination of the aesthetic revolution that involved New York’s subway since 1966. This revolution was developed by Vignelli and its company Unimark, and Bob Noorda after the success of the project of Milan first metro line. This event is perfectly described in another book, published last year: Helvetica and the New York City Subway System by Paul Shaw.

The author has focused his attention only to the maps. He made an historical analysis of the two standardized previous version of the map: the Hagstrom and Salomon Modernist Diagram; the first one designed by Andrew G. Hagstrom created in 1942, and the second one designed by George Salomon in 1956, which represents the first part of the reform of the subway graphics. The genesis of the Vignelli map is described in the main section of the book, first writing about the arrival of European modernism in America, especially in graphics; the same Vignelli describes this event with these words: Our basic philosophy of providing Was that the highest possible level of service to the design industry on the widest possible basis of action. The common design philosophy was basically the one of the Bauhaus and Mies [van der Rohe] in particular. The attitude was for objectivity rather than subjectivity in design. The field of action was universal (Uni-Mark = universal market), with the idea of merging design and marketing needs (not wants!) Of the world. [...] Minimalism is not a style, it is an attitude, a way of being. It’s a fundamental reaction to noise, visual noise, disorder, vulgarity. Minimalism is the pursuit of the essence of things, not the appearance. “Minimalism consists in: complete abstraction from the correct geography of the city, the decision to assign a different color to each line, rather than group them according to their transit in Manhattan, and the use of 45 and 90 degree grid.

A reference to the experience of Milan metro is totally missed but Noorda is, otherwise, mentioned several times. The monograph considers then the definition of map detail and its evolution between 1972 and 1979. The complex nodes, where more lines overlap, cause the main problems in the graphic layout of the map. The book also describes the graphic design project for the Washington subway system, created by Vignelli himself. Eventually we find the description of the map created in 1979 to replace Vignelli’s map: it is the one still in use today. There are many striking differences between the two maps; the new one has a perfect geographical description of the city, lines colors are grouped and the whole geometrical design is missing. The book is certainly interesting and well documented, full of references and with an extensive bibliography, a huge collection of images both in color and b/w. Originally it should have been part of a series of books, each one dedicated to one of the maps drawn for New York subway. The trend that wants to rediscover the design and architectural history of transport seems, at last, to grow, especially in Anglo-Saxon countries, after a long hegemony of the engineering aspect.

© Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore.

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Osservando la fermata Garibaldi della Linea 2 di Milano si nota facilmente che la sua conformazione è completamente diversa dal resto delle stazioni. Non solo per la presenza dei due binari laterali non utilizzati, ma anche per il posizionamento delle scale, per la forma delle strutture e per l’ampiezza del mezzanino (sebbene in parte chiuso). I motivi sono stanzialmente due, il primo è il periodo e il contesto della sua costruzione. Questa fermata fu costruita parallelamente alla Linea 1, durante la realizzazione della stazione ferroviaria che sostituì l’edificio detto delle “Varesine” nell’omonimo isolato. Uno di quei casi di lungimiranza che hanno fatto si che il tutto fosse realizzato in un unico cantiere anziché sconvolgere nuovamente il quartiere per realizzare la metropolitana giusto qualche anno dopo. La seconda ragione è una diretta conseguenza della prima, infatti oltre alla Linea 2 il Comune era seriamente intenzionati e convinti di realizzare anche un altro progetto: le Ferrovie Celeri della Brianza, progetto parzialmente simile a quello delle Ferrovie Celeri d’Adda che furono subito realizzate e ora costituiscono il ramo Cimiano – Gorgonzola della Linea 2.

Quindi le diversità strutturali sono dovute alla comunanza con quelle progettare per la stazione ferroviaria, presumibilmente prima della progettazione strutturale della metropolitana; mentre i due binari laterali e alcune porzioni del tunnel verso Moscova furono realizzate per accogliere le Ferrovie Celeri della Brianza.

Questo progetto nasce dall’idea di ATM di sostituire le tranvie Milano – Desio e Milano – Mombello utilizzando la tecnologia della guida vincolata su pneumatici ideata dalla Società Strada Guidata. Questo sistema era stato proposto anche per la Linea 1, ma non fu accolto; va considerato come, più avanti, avrà invece un immenso successo a Parigi e poi con il sistema VAL e in Giappone. Dal punto di vista infrastrutturale non vi sono molte informazioni su questo progetto, a parte la corografia qua riportata. Esistono solo poche tracce, come i binari laterali della fermata Garibaldi, che in realtà dovevano essere adibiti alla Linea 2, mentre quelli centrali alle Ferrovie Celeri, gli allarghi nel tunnel verso Moscova e il ponte ferroviario su viale Fermi. In questo caso la nuova linea sarebbe dovuta transitare a raso sotto lo spazio a sinistra. Presumibilmente la rampa di uscita doveva trovarsi non molto distante da piazzale Maciachini dove doveva esserci anche lo svincolo a più livelli dell’asse di via Fermi, poi mai realizzato.

Ponte ferroviario su viale Fermi.

Sezione del tunnel delle Linee Celeri della Brianza con tue prototipi di vettura.

Bibliograficamente parlando il volume che meglio descrive il progetto è: Si viaggia anche così, Francesco Ogliari e Giovanni Cornolò, Arcipelago Edizioni, Milano 2002. Capitolo 16 I sistemi gommati a guida vincolata (1929-1967); Il progetto delle linee Celeri della Brianza e il circuito sperimentale di Chivasso (1961-1963). Anche se il capitolo tratta soprattutto dei veicoli. Purtroppo nessun documento specifico è stato trovato presso biblioteche o archivi: probabilmente solo ATM o, ancor più, le Ferrovie dello Stato potrebbero saperne di più, visto che entrambi i progetti riguardavano integrazioni di infrastrutture ferroviarie. Il binario laterale Ovest e stato adesso integrato nel sistema della Linea 5, per l’unica interconnessione con la rete esistente, trovando finalmente uno scopo.

Il nodo Garibaldi prima dell’inserimento della Linea 5

Il nodo Garibaldi con le Linee Celeri della Brianza (ipotesi).

Il nodo Garibaldi oggi.

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Dopo alcuni mesi di attesa sono riuscito ad avere una copia del volume Design in Transit edito dall’Institute of Contemporary Art di Boston nel 1967. Questo volume mi era stato fortemente consigliato perché avrebbe dovuto dimostrare che il primo intervento architettonico e grafico coordinato in un mezzo di trasporto su ferro fu pensato per la metropolitana di Boston. In realtà quello che emerge dalla lettura del testo è che Boston ha avviato il suo progetto solo dopo Milano e l’ha concretizzato nel 1965. Per Boston non si trattava di una nuova metropolitana, ma del riordino della sua piccola ma complessa rete di tram e treni parzialmente sotterranei che furono realizzati a partire dal 1897. Quello che è inequivocabile è che Boston ha preceduto New York in questo monumentale impegno di riordino, così com’è noto che per New York l’esperienza milanese fu fondamentale e implico il diretto coinvolgimento di Bob Noorda e del suo socio Massimo Vignelli.

Certamente, più di mille descrizioni, valgono queste inequivocabili immagini. Se si tratti di coincidenze, di comuni ispirazioni o di procedure ed esiti standardizzati dal comune pensiero grafico dell’epoca, le somiglianze sono evidenti. Sia nella conformazione, coloritura e caratteri delle strisce informative; così come nel dettaglio dello studio sul posizionamento in altezza con le visuali ottiche. Tutto sembra essere generato dalla stessa mente. Nel dettaglio il testo ci dice che:

“Late in 1964, the Directors of the Massachusetts Bay Transportation Authority then by General James McCormack, Board Chairman, began to modernize the system. […] Acting on a suggestion offered by 1963 Civic Design Committee of Boston Society of Architects, Thomas J. McLernon, then General Manager of the MBTA, and Roberto A. Keith, his Special Assistant, began a preliminary study of the possibilities of a major station improvement program.”


Quindi l’amministrazione dell’allora MBTA iniziò solo nel 1964 ad avviare un programma di rinnovamento, sulla spinta di alcune proposte nate nel 1963 da proposte di architetti. Albini fu nominato architetto per la Linea 1 nel 1961, dopo il cambio di giunta del 1960, subentrando ad Arrigo Arrighetti.

“The architecture and design firm hired in January, 1965, to implement this program was Cambridge Seven Associates, Inc., of Cambridge, Massachusetts. Conceiving the problem to be one of urban design, the architects suggested that city’s transit system forms its structure. Two aims were basic in their planning: to make this structure quickly comprehensible to the passenger; and to provide him with means for orientation within this structure.”

Dunque il contratto per il progetto di riqualificazione e modernizzazione vide la luce solo nel 1965, con progettisti lo studio Cambridge Seven Associates, oggi ancora operativo. (http://www.c7a.com/work/mbta-modernization).

Non resta che un confronto diretto tra i due progetti; ogni considerazione riguardo al rapporto tra quello americano e quello italiano non sono per ora noti, ma sicuramente sondabile.

Progetto grafico per Milano:

Progetto grafico per Boston:

Confronto tra l’analisi dei coni ottici per Boston e Milano.

© Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore. Le immagini della grafica della metropolitana di Milano provengono dalla rivista Domus, 1966


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Eppur si muove, si dovrebbe dire pensando ai lavori per la Linea 4 della Metropolitana di Milano, infatti i primi cantieri sono stati aperti da poco più di un anno, ma sembrano non aver prodotto ancora nulla di sostanzioso. Tutto questo è dovuto, fino adesso, al susseguirsi di impedimenti burocratici e finanziari. A fine marzo il Comune e i privati coinvolti nell’operazione sono riusciti ad ottenere il prestito necessario a coprire la quota privata dei costi, circa 500-600 milioni, finanziati dalla Banca Europea per gli Investimenti. A questo si aggiunge la chiusura del procedimento giudiziario intentato dalla cordata concorrente,Piazzarotti, a quella vincitrice dell’appalto capitanata da Astaldi; il tribunale ha definito corretta la procedura. Adesso sono presenti i 600 milioni dei privati, i 400 del Comune e i 768 dallo Stato, che però dovranno essere sottoposti all’ennesimo e, si spera, ultimo vaglio del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), a cui si dovranno probabilmente aggiungere, poi, circa 100 milioni per gli aumenti di costo per velocizzare la costruzione delle prime tre stazioni in vista di Expo e l’aumento dei costi. Cifra ridotta di un terzo dopo un lungo lavoro portato avanti dal Comune. Per garantire l’obiettivo, la fermata Quartiere Forlanini verrà realizzata ma non aperta al pubblico, i treni passeranno quindi in una stazione-cantiere, ma il collegamento tra l’aerostazione e la stazione ferroviaria delle Linee S sarà possibile.

Dal punto di vista progettuale, la versione esecutiva dovrebbe prevedere anche la modifica del nodo d’interscambio presso la stazione Dateo. Originariamente era prevista la fermata della Linea 4 nel tratto iniziale di Corso Plebisciti, senza mezzanino e a profondità minima, in modo da scavalcare con un tunnel unico la galleria del Passante. Per velocizzare il tutto ed evitare l’ennesimo stravolgimento del Piazzale, in concreto ininterrotto da quasi venti anni, tra parcheggi, Passante, corsia preferenziale) la nuova stazione sarà invece più profonda in modo che le due macchine scavatrici approntino due tunnel che sotto passino la Stazione Dateo senza interrompere il loro percorso.


Dunque mancherebbe solo un ultimo passaggio per poter dare l’avvio definitivo all’intera operazione, un ultimo passaggio presso il CIPE affinché vengano approvati sia il progetto esecutivo sia il nuovo piano finanziario, confermando, quindi, gli stanziamenti statali.


Quasi contemporaneamente il CIPE ha stanziato anche i fondi statali per la realizzazione della stazione Ferroviaria Forlanini. Il costo totale è di 15,8 milioni di euro, di cui 3,9 stanziati dal Comune. E’ in fase di preparazione la gara d’appalto e i cantieri, secondo l’assessore Maran, dovrebbero aprire entro il 2013.


Ritornando alla metropolitana, la tratta prioritaria, per l’EXPO, è composta da sole tre stazioni, quella dell’aeroporto, quella del quartiere Forlanini, lungo l’omonimo viale, e quella in coincidenza con il Passante e le linee S situata poco a nord rispetto al sottopasso ferroviario dei viali Corsica e Forlanini.


Dal punto di vista dei cantieri, per adesso non vi sono novità rispetto allo stato attuale, le aree necessarie sono già state occupate e il traffico veicolare deviato. Non si prevedono ulteriori problemi se non l’aumento dei veicoli di cantiere che circoleranno nell’area. Discorso apparentemente più semplice per la terza stazione, che sarà situata in un’area che non interferirà direttamente con il traffico pedonale e veicolare. Il cantiere sarà posizionato nello spiazzo di terra incolta parallelo alla via Cardinale Mezzofanti e a nord della via Ardigò, lungo il tracciato ferroviario. La stazione ferroviaria coinvolgerà i primi quattro binari posizionati verso il centro città, sui quali transitano sia le linee S5 (Varese – Treviglio via Passante) e S6 (Novara – Pioltello via Passante) sia, a fianco, la linea S9 (Saronno – Albairate via Monza), oggi ancora poco nota. Per quanto riguarda la metropolitana, sia questa stazione, sia la precedente, e quasi tutte quelle lungo l’asse di Corso Indipendenza – Argonne e via Lorenteggio saranno con banchina ad “isola”, ovvero con un’unica banchina centrale posta in mezzo ai due binari. Per la fermata dell’aeroporto le banchine saranno invece laterali come previsto per le stazioni a grande flusso. Tutte le stazioni saranno formate da un grande vano di forma rettangolare che verrà scavato interamente e in esso transiteranno le due macchine scavatrici, le famose “talpe” che viaggeranno in parallelo partendo da Linate. Salvo stravolgimenti dell’ultimo momento le stesse due talpe dovrebbero poi proseguire verso San Babila così come dovrebbero continuare, nell’immediato i lavori per l’intera linea, che quindi dovrebbe essere aperta per il 2018/2020. Dal punto di vista dell’area logistica dove verranno posizionati i dormitori degli operai e i depositi, attualmente sita in via Craviana, il cantiere è attualmente fermo sebbene già predisposto.


In questi primi mesi dell’anno sono anche stati pubblicati i primi progetti architettonici. Lo studio incaricato è il CREW Cremonesi Workshop di Brescia, che ha già eseguito il progetto, molto apprezzato, per la metropolitana di Brescia appena inaugurata. Come nella tradizione milanese, nata grazie all’architetto Albini e al designer Noorda, gli spazi saranno caratterizzati da un’estrema funzionalità e semplicità degli arredi, basati sui toni del grigio. Gli spazi, come consuetudine, saranno divisi in più livelli (banchina, servizio, mezzanino) e collegati da un unico gruppo di scale mobili centrali, scale fisse e ascensori. In superficie, le stazioni nell’area di viale Forlanini saranno caratterizzate da un’entrata unica e ampia coperta da tettoie metalliche con funzione di protezione solare. Il mezzanino sarà direttamente accessibile tramite una rampa. Tuttavia fino allo stato avanzato della costruzione questo progetto potrà subire ancora sostanziali modifiche.


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A parziale aggiornamento, il 16 giugno 2013 il governo ha decretato l’aggiunta di ulteriori 200 milioni di euro per coprire tutti gli extra-costi della nuova linea e poter avviare l’iter per l’approvazione del progetto definitivo da parte del CIPE che dovrebbe essere concretizzata a breve. L’unica condizione per ottenere i soldi è l’avvio dei cantieri entro il 2013. Se questo significi avviarli tutti, solo fino a San Babila o solo le prime tre stazioni è ancora da comprendere. Comunque se l’unica condizione è quella citata, è cosa positiva.

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Qualche giorno fa una persona mi ha detto che trovava ridicolo che ATM, che gestisce le metropolitane a Milano, avesse scritto su alcuni cartelloni che le scale mobili della Linea 1 devono essere riparate o sostituite perché ormai risalenti al 1964. In sostanza non credeva che nel 1964 ci fossero già le scale mobili e che quelle che vediamo ancora oggi nelle stazioni più vecchie, siano lì da quell’anno.


Invece sì, le scale mobili sono lì dal 1964, anzi alcune forse da qualche anno prima, a seconda della cronologia del cantiere. La scala mobile non è un’invenzione così recente come molti possono pensare.


Un primo tentativo, assai generico, fu presentato sotto forma progettuale da Nathan Ames nel 1859, successivamente da Leamon Souder nel 1889 e infine da Jesse W. Reno nel 1892, che ne è considerato l’inventore ufficiale. Il suo prototipo fu poi realizzato dalla compagnia Otis, fondata dall’inventore dell’ascensore Elisha Otis. Le prime scale avevano parti metalliche ma gradini in legno, materiale che resisterà per decenni e che è ancora possibile trovare in alcune scale, anche se il più economico passaggio all’acciaio e soprattutto pesanti motivi di sicurezza ne hanno visto la quasi totale scomparsa. Per esempio tutte le scale mobili in legno furono rimosse dalla metropolitana di Londra dopo il grave incendio della stazione King’s Cross, nel 1987, che costò la vita a trentuno persone. Incendio causato da un fiammifero usato per accendere una sigaretta, pratica che tra l’altro era già vietata dal 1985. In realtà ne sopravvive ancora una nella stazione di Greenford sulla Central Line.


Londra, 1938: sistemi di sicurezza.


Londra, l’ultima scala con gradini in legno rimasta, stazione Greenford, Central Line.


Una scala mobile della metropolitana di Mosca, tra le più lunghe e rapide.

A Milano, il problema dei guasti alle scale mobili sembra essersi intensificato negli ultimi due anni, e non in maniera strettamente legata all’anzianità degli apparati, dato che anche scale mobili degli anni ’70 e ’80 sono in riparazione, ma forse ad un diminuito livello di manutenzione. Storicamente l’introduzione delle scale mobili in tutte le stazione della metropolitana, inizialmente solo tra banchina e mezzanino e solo in uscita, costituisce un’altra delle grandi innovazione introdotte con la Linea 1 di Milano. Sebbene anche in altre metropoli l’uso delle scale mobili era ormai uno standard, ciò si limitava più che altro alle stazioni profonde o a singoli progetti. Oggi, qualsiasi nuova stazione della metropolitana è dotata di impianti analoghi, e la maggior parte vede coperto l’intero percorso dalla banchina alla superficie in ambedue le direzioni. Inoltre la rinascita dell’ascensore come sistema di risalita, oltre che come antidoto alle barriere architettoniche, sembra avviata; Roma con la B1 e Barcellona con la linea 9 vedono il ritorno a questa tipologia che permette di sfruttare grandi profondità permettendo risalite più rapide che con le scale mobili. In altri casi, come Copenhagen, le scale mobili hanno completamente soppiantato quelle fisse, nascoste dietro le pareti e adibite alla sola emergenza.

Ricordatevi di tenere la destra quando usate le scale mobili!


Milano, 1964: prima versione delle banchine senza scale mobili.


Milano, 1964: versione definitiva con le scale mobili con lo studio dei flussi analizzato da Bob Noorda.


Milano, 2006: scala mobile della stazione Pagano.


Milano, 2012: il cartello affisso da ATM.


Milano, 2013: cartello e cantiere presso la stazione Moscova.


Milano, 2013: interno del cantiere preso la stazione Moscova.


Spaccato assonometrico di una stazione tipo della Linea 4 di Milano.


Rendering di una stazione tipo della Linea 4 di Milano.

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Sembrano procedere regolarmente i lavori per l’allestimento della stazione Garibaldi della MM5. I cantieri per la stazione Isola sono ormai chiusi da tempo e l’intera via Volturno è ormai completata, rimangono le recinzioni intorno alle scale e agli ascensori, in attesa dell’apertura.


Alla fermata Garibaldi è in avanzamento la rimozione del cantiere sopra il vano della stazione della Linea Lilla, da due settimane sono iniziati i lavori per la posa degli arredi urbani, anche se nell’area delle uscite non hanno prodotto grandi risultati, mentre procedono regolarmente lungo il lato sud di via Ferrari, vicino al pozzo omonimo di cui sono state portate a compimento le pareti laterali definitive. Sembra imminente la rimozione sia della gru sia dei cartelloni pubblicitari dando il via alla fase conclusiva; nulla è noto sui lavori nella parte sotterranea.


L’allestimento di questa stazione presenta alcune differenze rispetto alla parte della linea già aperta e della stazione Isola. I vani esterni sono stati ricoperti con materiali atti a simulare una sorta di marcatura a fasce tipicamente ottocentesca, come sembra essere tornato in voga, e tutto i volumi sono stati coronati da un cornicione a sezione triangolare, in metallo. Questa conformazione è del tutto simile a quella originariamente progettata dalla Metropolitana Milanese S.p.A. per l’intera metropolitana 5. A completamento di questa conformazione mancano solo le copertura piramidali delle torri de areazione e degli ascensori; scelta questa forse un po’ fuori tempo, ma sicuramente riuscirebbe a dare un senso compiuto a questo allestimento. Ancora nulla si sa della colorazione, che per le scale dovrebbe essere la medesima di tutta la Linea 5.



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Perché si usa questo termine: tube? Ovvero tubo. L’immagine qua sotto lo rende subito esplicito. Non si tratta né di tubature del gas e nemmeno di meno eleganti scarichi di acque reflue. Sono tunnel della metropolitana di Londra, ovvero il nodo della stazione Kennington dove due diramazioni della Northern Line si uniscono nel sud della città. Parallelamente al sistema detto cut&cover, letteralmente taglia e copri, ma più dettagliatamente, scava e ricopri, che null’altro è che una ferrovia costruita sotto il livello della strada, più o meno interamente ricoperta, per non avere interferenze con il traffico superficiale, il tube costituisce l’evoluzione definitiva della metropolitana. Infatti, il metodo originale, praticato per i primi trenta anni, non si può adattare a tutte le situazioni, prevede grandi stravolgimenti in superficie, talvolta l’abbattimento di edifici, e la necessità di seguire la maglia urbanistica esistente. Il tube non necessità di nulla di tutto ciò, ha tracciati indipendente, può sotto passare qualunque cosa, compresi corsi d’acqua e strati archeologici; può richiedere scavi anche molto ridotti e solo dove vi sono stazioni o pozzi di areazione. Il diametro tipo dei primi tunnel londinesi era di 310cm, mentre le versioni successive aveva un’ampiezza di minimo 450cm.

Questa invenzione, prettamente anglosassone, nasce con l’idea, apparentemente banale, che come i tubi che incominciano ad attraversare le città ottocentesche per portare acqua, gas, cavi elettrici, telegrafici, acque sporche, i primi cavi telefonici e perfino la posta pneumatica, allo stesso modo si possono realizzare tubi che possano trasportare persone. Uno dei primi tentativi, ad opera di Marc Isambard Brunel, sotto passava il Tamigi; accessibile alle persone tramite scale o ascensori e veniva percorso a piedi, fu costruito a partire dal 1825 e inaugurato nel 1843. Oggi questo tunnel è parte della metropolitana di Londra (Overground Line). In seguito sia a New York che Londra s’ipotizzò l’introduzione di convogli spinti, rispettivamente, con l’aria compressa o da pulegge, ma non ebbero successo. Infine, grazie all’arrivo dell’elettricità, si poterono utilizzare treni normali tradizionali. O quasi, vista la conformazione cilindrica ancora oggi caratteristica peculiare dei convogli Londinesi. Dagli anni ’30 questa prassi divenne consolidata e i tunnel, più larghi, permettevano il passaggio di treni con dimensione standard. Oggi i tunnel circolari scavati a grande profondità da trivelle meccanizzate, le talpe o TBM, costituiscono la maggior parte delle nuove realizzazioni; proprio questa tecnica altamente automatizzata di scavo ha definitivamente consolidato la geometria cilindrica delle metropolitane.

Conseguenza di questa scelta strutturale è evidente nella conformazione delle stazioni. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, il fatto che le metropolitane siano realizzate per il trasporto umano, nelle prime conformazioni l’aspetto finale, se non si considerano le dimensioni, ripercorre perfettamente la forma di un impianto idraulico.

La prima fase è rappresentata nelle prime due immagini sono raffigurate le stazioni londinesi Down Street della Piccadilly Line e Camden Town della Northern Line. La prima fu aperta nel 1907 e chiusa nel 1932 senza subire modifiche, a causa dell’eccessiva vicinanza con le altre stazioni. La seconda fu aperta nel 1907 ed è tuttora funzionante. Sono entrambe formate da tunnel contenenti le banchine, uno per ogni direzione o ramo. Questi tunnel-banchina sono poi connessi al sistema di risalita tramite cunicoli di forma circolare di dimensione ridotta, due per ogni banchina contenenti in parte delle scale per sovrappassare la banchina nell’altra direzione. Il sistema di risalita è a sua volta costituito da due o quattro vani cilindrici verticali che contengono una scala a chiocciola o gli ascensori. Infatti, in questa prima tipologia era collegata con la superficie solo con ascensori e scale. L’aspetto in sezione e assonometria ripete pienamente quello di un impianto idraulico di qualsiasi tipo. Internamente le stazioni erano interamente rivestite di piastrelle smaltate installate in modo da formare disegni geometrici, il pavimento era in conglomerato cementizio e gli arredi erano costituiti dalle luci elettriche e da poche panchine di legno e ferro. Le poche indicazioni grafiche erano dipinte in nero. Entrambe le stazioni furono progettate architettonicamente da Leslie Green.

La seconda fase vede l’introduzione delle scale mobili. La prima è la versione attuale della stazione Camden Town già illustrata prima, la seconda è la stazione Bounds Green della Piccadilly Line, realizzata nel 1932. L’introduzione della scala mobile nasce parallelamente all’umanizzazione degli spazi sotterranei. Anziché collegare il sistema di risalita con stretti tunnel parzialmente percorribili attraverso strette scalinate, viene declinato per il sotterraneo il sistema della banchina ad isola. Quindi i due vani circolari delle banchine sono complanari e le loro uscite si affacciano entrambi sul ripiano che porta alle scale. L’intero complesso assume quindi una conformazione sostanzialmente simmetrica. Anche gli spazi vengono estesi, aumentando i diametri anche per contenere le tre scale mobili in legno e metallo. Se la stazione Bounds Green da parte del primo lotto conformato in questo modo al mondo, per la stazione Camden Town si tratta di una modifica avvenuta in epoca successiva, che ha comportato anche la rimozione degli ascensori, mantenendo invece, per ovvi motivi, i due diversi livelli altimetrici delle banchine. Architettonicamente la variazione nella parte sotterranea è costituita dalla semplificazione dei decori e dalla standardizzazione della grafica, il grande cambiamento avvenne invece in superficie.

Stato finale della stazione Piccadilly Circus a Londra dopo il rinnovamento delle uscite avvenuto nel 1928 con il progetto architettonico di Charles Holden

La terza fase vede il completamento del processo evolutivo di questa tipologia. Con il contratto tra l’Unione Sovietica e gli ingegneri della metropolitana di Londra per realizzare la metropolitana di Mosca, viene definita la conformazione unitaria degli spazi delle stazioni profonde. Partendo dal diametro maggiore e dalla lunghezza accresciuta delle banchine, i piccoli spazi pensati per la metropolitana di Londra, da considerarsi come un progetto sperimentale, non erano più adatti. Per questo ai due tubi paralleli contenenti le banchine furono associati uno o più tubi paralleli contenenti gli spazi di collegamento; i tre tunnel paralleli furono connessi non con altre gallerie ma non realizzando le separazioni tra i tre vani e sostenendo le volte con pilastri, tutti interamente realizzati in metallo. Ad una o entrambe le estremità del tunnel centrale vennero poi posizionati i collegamenti obliqui contenenti le scali mobili. La grande profondità delle stazioni nel centro di Mosca e le dimensioni maggiorate degli spazi hanno portato alla realizzazione di vani estremamente ampi che furono poi decorati con le note caratteristiche estetiche di derivazione neobarocca, che ben celano tuttora la complessità strutturale. Nell’immagine è raffigurata un’interconnessione tipo pensata per Mosca e la sezione del punto di connessione tra le due linee; inoltre uno spaccato assonometrico della struttura da confrontarsi con il risultato finale architettonico.

Con l’evolvere del tempo la tipologia non si è più modificata dal punto di vista volumetrico, se non aumentando o diminuendo gli spazi a seconda delle necessità. Al contrario vi è stata una vasta evoluzione architettonica: abbandonati gli sfarzi sovietici (proseguiti fino agli anni 50 e 60) gli allestimenti si sono orientati verso una maggiore semplificazione estetica e un crescente tentativo di sottolineare la complessità strutturale. A Praga e a Vienna i conci di acciaio dei tunnel rimangono visibili e per completare gli spazi si fa massiccio uso di pannelli metallici introdotti con la metropolitana di Milano; i materiali con posatura a secco si diffusero rapidamente. Solo in periodi più recenti, l’aumento della complessità strutturale legata ai nuovi impianti e alle aggiornate norme di sicurezza, hanno visto il moltiplicarsi dei materiali usati con un forte ritorno del calcestruzzo armato, usato da qualche decennio anche per i conci dei tunnel. A Stoccolma le stazioni profonde aperte nel 1975 in planimetria ripercorrono lo schema moscovita, ma si presentano come vani con roccia a vista semplicemente ricoperta di calcestruzzo spruzzato e poi variamente decorate con opere d’arte. Nell’immagine il complesso nodo di London Bridge dopo l’inserimento della fermata della Jubilee Line (in verticale) e il rifacimento della fermata della Northern Line (in orizzontale) tramite l’introduzione di una nuova banchina per permettere l’inserimento delle scale mobili.

Nell’ultimo decennio le stazioni profonde sono state riviste per permettere, eventualmente, l’eliminazione dello scavo in sotterraneo senza diminuire eccessivamente la profondità e l’uso dei due tunnel paralleli e, contemporaneamente, aumentare gli spazi delle stazioni, sia per inserire nuovi vani tecnici sia per questioni architettoniche. Alcuni esempi sono sia le stazioni realizzate per la prima linea metropolitana di Copenaghen sia per la sua gemella in realizzazione a Milano: la linea 5. Questi vani sono costituiti da un singolo parallelepipedo sufficientemente ampia da permettere il passaggio delle due macchine scavatrici e contenere, nel centro, la banchina ad isola con i sistemi di risalita. Da punto di vista architettonico non è più possibile definire uno standard tipico.

Foto della banchina della stazione Russel Square della Piccadilly Line a Londra

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