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Category Archives: Architettura delle metropolitane

Il cantiere per la ristrutturazione della fermata Centrale FS delle Linee 2 e 3 è stato aperto nel 2010, e adesso, dopo le vicissitudini dovute a problemi della ditta appaltatrice, ecco il primo risultato visibile. La fermata della Linea 2 fu inaugurata il 27 aprile 1970, quella della Linea 3 il 3 maggio 1990. Il progetto architettonico fu affidato nel primo caso sempre al team Albini-Helg-Noorda, e nel secondo caso al team Cappelli – Dini; va notato, però, che la conformazione delle due stazioni, come sempre progettata dalla MM, ha alcune fondamentali diversità rispetto allo standard delle due linee. I soffitti più alti, la presenza di pilastri a sezione circolare, il sistema di risalita e il grande foro a cielo aperto costituiscono un unicum, con la stazione Amendola; uno dei pochi casi dove l’intervento degli architetti fu maggiore. Per la linea 3 tutto cambia a causa della necessità di connettere le due linee, così i corridoi di connessione sono situati sotto le banchine anziché sopra.

Con i lavori di ristrutturazione della Stazione Centrale, Grandi Stazioni ebbe anche l’incarico di ristrutturare la piazza Duca d’Aosta e tutto il complesso di ambienti ipogei in essa contenuti. L’intera operazione costituisce un lotto di appalto autonomo; questo fece sì che i lavori partissero già in ritardo, inoltre il fallimento della ditta appaltatrice e il procedere della crisi non favorirono la conclusione dei lavori. Così, ripresi i cantieri nel 2012, dapprima si è proceduto alla riapertura, ancora parziale, della piazza ripavimentata, e adesso si possono osservare i primi frutti della ristrutturazione della stazione. Recentemente l’amministrazione comunale è intervenuta su questo cantiere chiedendo un’accelerazione dei lavori anche in vista dell’Expo, la speranza è che finiscano anche prima.

Serie di rendering diffusi nel 2011.

Il primo ambiente ristrutturato è proprio il punto focale dell’intera struttura, il foro o “buco” dal quale si possono vedere, uscendo dai tornelli, sia la Stazione Centrale, sia il grattacielo Pirelli. Il buco, come previsto, è stato “riempito” con un nuovo blocco di scale fisse e la predisposizione per un ascensore da installare proprio al centro. Dal punto di vista architettonico vi sono notevoli differenze rispetto ai rendering diffusi qualche anno fa, e molti sono i dettagli da analizzare. Ovviamente il foro, così modificato, perderà in parte le sue caratteristiche per permettere la creazione di scale fisse in sostituzione di quelle che verranno cancellate dalla presenza dei tappeti mobili. Inoltre l’ascensore, che precluderà l’ingresso della luce e la visuale, andrà sì a colmare una mancanza ormai insostenibile, ma di fatto farà si che chi la utilizzerà dovrà poi attraversare, allo scoperto, una parte della piazza per accedere alla stazione ferroviaria, mentre il resto dell’utenza usufruirà di un percorso completamente coperto.


Dal punto di vista dei dettagli il progetto si divide in due, da un lato l’utilizzo del serizzo ghiandone per i gradini e delle canaline luminose sono chiaramente in connessione con l’allestimento originale (con ovvio aggiornamento tecnologico). Anche la colorazione e il trattamento superficiale dei pilastri è pienamente iscrivibile nello stile albiniano; l’originale intenzione di ricoprire con rivestimenti di acciaio queste strutture sembra essere stata cancellata. Il corrimano, invece, in alcuni tratti sembra voler riprendere la versione originale, per essere completo manca il colore verde; mentre nel lato verso l’ascensore è di forma e tipo completamente diverso. In fondo questo è anche spiegabile con il fatto che in origine la balaustra era sempre costituita da un muro e questo avrebbe appesantito troppo la struttura. Quello che cambia è nuovamente il pavimento, con il ritorno del gres porcellanato grigio, che in passato fu oggetto di molte critiche, in una versione simile a quello usato nella fermata Loreto, quindi antiscivolo. Nel pavimento sono già state inserite le piastrelle Loges per la guida dei non vedenti.

Il nuovo pavimento e quello vecchio.

Una colonna restaurata, e, ovviamente, già sporcata.

Il corrimano delle scale.

Il colore scelto è sicuramente il migliore tra quelli utilizzati nelle ristrutturazioni degli ultimi anni.

Il nuovo corrimano che richiama quelli originali.

I pannelli originali ancora esistenti.

La colonna nell’allestimento originale, dopo 40 anni di vita.

La base per l’istallazione dell’ascensore.

Ancora mistero sulla permanenza, assai auspicata, dei pannelli di acciaio smaltato originali, per adesso ancora tutti presenti, come presenti erano nei rendering. Opportunamente ripuliti e reinstallati sarebbero in grado di mantenere una delle caratteristiche fondamentali dell’allestimento originale più piacevoli e funzionali. Per quanto riguarda il resto, è iniziata la rimozione dell’intonaco originale in alcune parti del soffitto e delle scale fisse, per permettere l’installazioni di nuovi impianti e di ripristinare alcuni danni del tempo.

© 2013 Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore.


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Quest’ opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia.

Recentemente è stato pubblicato un nuovo volume sulla lunga storia grafica della metropolitana di New York: Vignelli Transit Maps, di Peter B. Lloyd con Mark Ovenden, edito dalla Rit Cary Graphic Arts Press. Il nuovo volume è dedicato espressamente alla cosiddetta mappa Vignelli, ovvero lo schema grafico delle linee disegnato dal 1970 dal famoso grafico milanese Massimo Vignelli. Questo mappa è il must assoluto nel settore; non è la sola famosa, la mappa londinese disegnata negli anni ’30 da Beck è senz’altro più nota, anche al pubblico generico, ma la mappa di Vignelli è quella più ricercata dai collezionisti. La sua ricercatezza è dovuta alla scarsa diffusione e durata della sua distribuzione parallelamente al suo grande valore estetico che l’ha resa un oggetto interessante anche al di fuori dei circuiti specializzati a chi s’interessa alla sola tematica dei trasporti su ferro. Questo ha causato la crescita del suo valore economico (rigorosamente per pezzi originali) che tocca le quotazioni solo delle mappe più antiche, come quelle create a Londra prima dell’avvento di Beck, nonostante sia stata stampata tra il 1972 e il 1978.

Mappa progettata da Bob Noorda ma mai usata.

Nel merito questa mappa rappresenta il culmine di quella rivoluzione estetica che coinvolse la subway newyorkese a partire dal 1966. Come già accennato in un precedente post, il tutto fu messo a punto dal team composto dallo stesso Vignelli, e il suo studio Unimark, e da Bob Noorda dopo il successo del progetto Milanese, in cui solo il secondo era direttamente coinvolto. Tutto ciò è perfettamente descritto in un altro volume, pubblicato l’anno scorso Helvetica and the New York City Subway System, di Paul Shaw. C’è da dire che a Milano non risulta al momento lo studio di alcuna mappa da diffondere al pubblico, progettata dal team Albini-Helg-Noorda nel 1964, fatto salvo uno studio per quelle da affiggere in stazione. Ne esiste una, di cui posto l’immagine, conservata alla Raccolta Civica Bertarelli di Milano; non ho mai trovato altre copie o aggiornamenti di questa mappa, né in biblioteche (non mi stupisce) né in vendita. Dal punto di vista grafico, la mappa milanese non sembra figlia di alcuno studio specifico, in parole povere non è esteticamente rilevante. Ci vorranno gli anni ’70 per avere delle mappe graficamente studiate e diffuse in quantità agli utenti, anche di queste vorrei inserire l’immagine, ma essendo grandi come quelle attuali il processo richiede più tempo. Comunque a Milano l’intero capitolo non è stato mai oggetto di uno studio pari a quello di Londra, Parigi, Madrid o New York, anche le ultime versione schematiche non sembrano rispondere a logiche precise né tanto meno standardizzate, chiave portante delle mappe che hanno ottenuto il maggior successo.

Milano: mappa affissa in stazione, prima versione del 1965.

Milano: prima versione nota di mappa distribuita al pubblico, probabilmente risalente al 1965 E’ ignota la diffusione. (Civica raccolta stampe Bertarelli)

Per quanto riguarda il libro, gli autori hanno focalizzato la loro attenzione alle sole mappe. Si parte con un’analisi storica delle due versioni standardizzate precedenti: la Hagstrom Geographic Map e la Salomon Modernist Diagram , la prima disegnata da Andrew G. Hagstrom creata nel 1942 e la seconda disegnata da George Salomon nel 1956, che rappresenta il primo abbozzo della riforma grafica della subway. Successivamente viene ampiamente trattata la genesi della mappa di Vignelli inserendola nel più ampio, ma generico, contesto dell’arrivo del modernismo europeo in America, soprattutto nella grafica. Interessante quanto scrive lo stesso Vignelli a proposito: “Our basic philosophy was that of providing the highest possible level of design service to the industry on the widest possible base of action. The common design philosophy was basically the one of the Bauhaus and Mies [van der Rohe] in particular. The attitude was for objectivity rather than subjectivity in design. The field of action was universal (Uni-Mark = universal market), with the idea of merging design and marketing needs (not wants!) of the world. […] Minimalism is not a style, it is an attitude, a way of being. It’s a fundamental reaction to noise, visual noise, disorder, vulgarity. Minimalism is the pursuit of the essence of things, not the appearance.” Nello specifico l’autore sottolinea come le peculiarità di questa mappa minimalista consistono nella completa astrazione dalla geografia reale dei luoghi, nella decisione di assegnare ad ogni linea un colore diverso, anziché raggrupparle in base al loro transito in Manhattan, oltre al già sperimentato uso di angoli e spessori prefissati.

Copertina della mappa “Salomon” della metropolitana di New York, 1959 (collezione dell’autore)

Copertina della mappa Vignelli del 1972 (collezione dell’autore)

La mappa Vignelli.

Autografo di Vignelli su una sua mappa. (collezione dell’autore)

Manca un riferimento preciso all’esperienza Milanese sebbene Noorda sia, diversamente, citato più volte. La monografia prende poi in considerazione la definizione dei dettagli della mappa e la loro evoluzione nel tempo; infatti sono proprio i nodi complessi, quelli dove più linee si sovrappongono, che causa i maggiori problemi nella stesura grafica della mappa. Nel volume viene anche descritto il progetto grafico per la metropolitana di Washington, opera dello stesso Vignelli. Infine viene descritta la mappa che dal 1979 sostituì quella di Vignelli, e che tuttora è in uso, con le sue vistose differenze come la forte componente geografica, il raggruppamento cromatico delle linee e l’assenza di qualsiasi elemento geometrico prefissato.

Il volume è senz’altro interessante e ben documentato, ricco di riferimenti e con ampia bibliografia e corredo di immagini a colori e bianco e nero. Pare dovesse far parte di una collana di volumi ognuno dedicato ad una delle mappe disegnate per New York. Certamente rientra in un filone che vuole riscoprire una storia estetica dei trasporti che sembra, finalmente, crescere soprattutto nei paesi anglosassoni, dopo una lunga egemonia dei soli aspetti ingegneristici delle metropolitane; un movimento di opinione utile anche, nel creare consapevolezza nei progetti presenti e futuri, si spera.

Sito casa editrice/Publisher website: http://ritpress.rit.edu/publications/books/vignelli-transit-maps.html

A new book about metro has been recently published; it describes the long history of the New York’s subway graphics: Vignelli Transit Maps, by Peter B. Lloyd with Mark Ovenden, published by Rit Cary Graphic Arts Press. This new volume deals exclusively with the so-called Vignelli map, the diagram of the subway lines drawn in 1970 by the famous Milanese graphic designer Massimo Vignelli. This map is a must-have in the field. This is not the only famous map, the London one designed in the ’30s by Beck is certainly better known, even to the general public, but the map of Vignelli is the most wanted by collectors. Its preciousness is due to the low uptake and duration of its distribution, parallel to its great aesthetic value that transformed in a very interesting for every design collector. This cause the continuous growth of its economic value (strictly for original pieces), that touches the quotes that only the oldest maps can reach.

The Vignelli’s map is the culmination of the aesthetic revolution that involved New York’s subway since 1966. This revolution was developed by Vignelli and its company Unimark, and Bob Noorda after the success of the project of Milan first metro line. This event is perfectly described in another book, published last year: Helvetica and the New York City Subway System by Paul Shaw.

The author has focused his attention only to the maps. He made an historical analysis of the two standardized previous version of the map: the Hagstrom and Salomon Modernist Diagram; the first one designed by Andrew G. Hagstrom created in 1942, and the second one designed by George Salomon in 1956, which represents the first part of the reform of the subway graphics. The genesis of the Vignelli map is described in the main section of the book, first writing about the arrival of European modernism in America, especially in graphics; the same Vignelli describes this event with these words: Our basic philosophy of providing Was that the highest possible level of service to the design industry on the widest possible basis of action. The common design philosophy was basically the one of the Bauhaus and Mies [van der Rohe] in particular. The attitude was for objectivity rather than subjectivity in design. The field of action was universal (Uni-Mark = universal market), with the idea of merging design and marketing needs (not wants!) Of the world. [...] Minimalism is not a style, it is an attitude, a way of being. It’s a fundamental reaction to noise, visual noise, disorder, vulgarity. Minimalism is the pursuit of the essence of things, not the appearance. “Minimalism consists in: complete abstraction from the correct geography of the city, the decision to assign a different color to each line, rather than group them according to their transit in Manhattan, and the use of 45 and 90 degree grid.

A reference to the experience of Milan metro is totally missed but Noorda is, otherwise, mentioned several times. The monograph considers then the definition of map detail and its evolution between 1972 and 1979. The complex nodes, where more lines overlap, cause the main problems in the graphic layout of the map. The book also describes the graphic design project for the Washington subway system, created by Vignelli himself. Eventually we find the description of the map created in 1979 to replace Vignelli’s map: it is the one still in use today. There are many striking differences between the two maps; the new one has a perfect geographical description of the city, lines colors are grouped and the whole geometrical design is missing. The book is certainly interesting and well documented, full of references and with an extensive bibliography, a huge collection of images both in color and b/w. Originally it should have been part of a series of books, each one dedicated to one of the maps drawn for New York subway. The trend that wants to rediscover the design and architectural history of transport seems, at last, to grow, especially in Anglo-Saxon countries, after a long hegemony of the engineering aspect.

© Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore.

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Quest’ opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia.

Osservando la fermata Garibaldi della Linea 2 di Milano si nota facilmente che la sua conformazione è completamente diversa dal resto delle stazioni. Non solo per la presenza dei due binari laterali non utilizzati, ma anche per il posizionamento delle scale, per la forma delle strutture e per l’ampiezza del mezzanino (sebbene in parte chiuso). I motivi sono stanzialmente due, il primo è il periodo e il contesto della sua costruzione. Questa fermata fu costruita parallelamente alla Linea 1, durante la realizzazione della stazione ferroviaria che sostituì l’edificio detto delle “Varesine” nell’omonimo isolato. Uno di quei casi di lungimiranza che hanno fatto si che il tutto fosse realizzato in un unico cantiere anziché sconvolgere nuovamente il quartiere per realizzare la metropolitana giusto qualche anno dopo. La seconda ragione è una diretta conseguenza della prima, infatti oltre alla Linea 2 il Comune era seriamente intenzionati e convinti di realizzare anche un altro progetto: le Ferrovie Celeri della Brianza, progetto parzialmente simile a quello delle Ferrovie Celeri d’Adda che furono subito realizzate e ora costituiscono il ramo Cimiano – Gorgonzola della Linea 2.

Quindi le diversità strutturali sono dovute alla comunanza con quelle progettare per la stazione ferroviaria, presumibilmente prima della progettazione strutturale della metropolitana; mentre i due binari laterali e alcune porzioni del tunnel verso Moscova furono realizzate per accogliere le Ferrovie Celeri della Brianza.

Questo progetto nasce dall’idea di ATM di sostituire le tranvie Milano – Desio e Milano – Mombello utilizzando la tecnologia della guida vincolata su pneumatici ideata dalla Società Strada Guidata. Questo sistema era stato proposto anche per la Linea 1, ma non fu accolto; va considerato come, più avanti, avrà invece un immenso successo a Parigi e poi con il sistema VAL e in Giappone. Dal punto di vista infrastrutturale non vi sono molte informazioni su questo progetto, a parte la corografia qua riportata. Esistono solo poche tracce, come i binari laterali della fermata Garibaldi, che in realtà dovevano essere adibiti alla Linea 2, mentre quelli centrali alle Ferrovie Celeri, gli allarghi nel tunnel verso Moscova e il ponte ferroviario su viale Fermi. In questo caso la nuova linea sarebbe dovuta transitare a raso sotto lo spazio a sinistra. Presumibilmente la rampa di uscita doveva trovarsi non molto distante da piazzale Maciachini dove doveva esserci anche lo svincolo a più livelli dell’asse di via Fermi, poi mai realizzato.

Ponte ferroviario su viale Fermi.

Sezione del tunnel delle Linee Celeri della Brianza con tue prototipi di vettura.

Bibliograficamente parlando il volume che meglio descrive il progetto è: Si viaggia anche così, Francesco Ogliari e Giovanni Cornolò, Arcipelago Edizioni, Milano 2002. Capitolo 16 I sistemi gommati a guida vincolata (1929-1967); Il progetto delle linee Celeri della Brianza e il circuito sperimentale di Chivasso (1961-1963). Anche se il capitolo tratta soprattutto dei veicoli. Purtroppo nessun documento specifico è stato trovato presso biblioteche o archivi: probabilmente solo ATM o, ancor più, le Ferrovie dello Stato potrebbero saperne di più, visto che entrambi i progetti riguardavano integrazioni di infrastrutture ferroviarie. Il binario laterale Ovest e stato adesso integrato nel sistema della Linea 5, per l’unica interconnessione con la rete esistente, trovando finalmente uno scopo.

Il nodo Garibaldi prima dell’inserimento della Linea 5

Il nodo Garibaldi con le Linee Celeri della Brianza (ipotesi).

Il nodo Garibaldi oggi.

© Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore.


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Dopo alcuni mesi di attesa sono riuscito ad avere una copia del volume Design in Transit edito dall’Institute of Contemporary Art di Boston nel 1967. Questo volume mi era stato fortemente consigliato perché avrebbe dovuto dimostrare che il primo intervento architettonico e grafico coordinato in un mezzo di trasporto su ferro fu pensato per la metropolitana di Boston. In realtà quello che emerge dalla lettura del testo è che Boston ha avviato il suo progetto solo dopo Milano e l’ha concretizzato nel 1965. Per Boston non si trattava di una nuova metropolitana, ma del riordino della sua piccola ma complessa rete di tram e treni parzialmente sotterranei che furono realizzati a partire dal 1897. Quello che è inequivocabile è che Boston ha preceduto New York in questo monumentale impegno di riordino, così com’è noto che per New York l’esperienza milanese fu fondamentale e implico il diretto coinvolgimento di Bob Noorda e del suo socio Massimo Vignelli.

Certamente, più di mille descrizioni, valgono queste inequivocabili immagini. Se si tratti di coincidenze, di comuni ispirazioni o di procedure ed esiti standardizzati dal comune pensiero grafico dell’epoca, le somiglianze sono evidenti. Sia nella conformazione, coloritura e caratteri delle strisce informative; così come nel dettaglio dello studio sul posizionamento in altezza con le visuali ottiche. Tutto sembra essere generato dalla stessa mente. Nel dettaglio il testo ci dice che:

“Late in 1964, the Directors of the Massachusetts Bay Transportation Authority then by General James McCormack, Board Chairman, began to modernize the system. […] Acting on a suggestion offered by 1963 Civic Design Committee of Boston Society of Architects, Thomas J. McLernon, then General Manager of the MBTA, and Roberto A. Keith, his Special Assistant, began a preliminary study of the possibilities of a major station improvement program.”


Quindi l’amministrazione dell’allora MBTA iniziò solo nel 1964 ad avviare un programma di rinnovamento, sulla spinta di alcune proposte nate nel 1963 da proposte di architetti. Albini fu nominato architetto per la Linea 1 nel 1961, dopo il cambio di giunta del 1960, subentrando ad Arrigo Arrighetti.

“The architecture and design firm hired in January, 1965, to implement this program was Cambridge Seven Associates, Inc., of Cambridge, Massachusetts. Conceiving the problem to be one of urban design, the architects suggested that city’s transit system forms its structure. Two aims were basic in their planning: to make this structure quickly comprehensible to the passenger; and to provide him with means for orientation within this structure.”

Dunque il contratto per il progetto di riqualificazione e modernizzazione vide la luce solo nel 1965, con progettisti lo studio Cambridge Seven Associates, oggi ancora operativo. (http://www.c7a.com/work/mbta-modernization).

Non resta che un confronto diretto tra i due progetti; ogni considerazione riguardo al rapporto tra quello americano e quello italiano non sono per ora noti, ma sicuramente sondabile.

Progetto grafico per Milano:

Progetto grafico per Boston:

Confronto tra l’analisi dei coni ottici per Boston e Milano.

© Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore. Le immagini della grafica della metropolitana di Milano provengono dalla rivista Domus, 1966


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Qualche giorno fa una persona mi ha detto che trovava ridicolo che ATM, che gestisce le metropolitane a Milano, avesse scritto su alcuni cartelloni che le scale mobili della Linea 1 devono essere riparate o sostituite perché ormai risalenti al 1964. In sostanza non credeva che nel 1964 ci fossero già le scale mobili e che quelle che vediamo ancora oggi nelle stazioni più vecchie, siano lì da quell’anno.


Invece sì, le scale mobili sono lì dal 1964, anzi alcune forse da qualche anno prima, a seconda della cronologia del cantiere. La scala mobile non è un’invenzione così recente come molti possono pensare.


Un primo tentativo, assai generico, fu presentato sotto forma progettuale da Nathan Ames nel 1859, successivamente da Leamon Souder nel 1889 e infine da Jesse W. Reno nel 1892, che ne è considerato l’inventore ufficiale. Il suo prototipo fu poi realizzato dalla compagnia Otis, fondata dall’inventore dell’ascensore Elisha Otis. Le prime scale avevano parti metalliche ma gradini in legno, materiale che resisterà per decenni e che è ancora possibile trovare in alcune scale, anche se il più economico passaggio all’acciaio e soprattutto pesanti motivi di sicurezza ne hanno visto la quasi totale scomparsa. Per esempio tutte le scale mobili in legno furono rimosse dalla metropolitana di Londra dopo il grave incendio della stazione King’s Cross, nel 1987, che costò la vita a trentuno persone. Incendio causato da un fiammifero usato per accendere una sigaretta, pratica che tra l’altro era già vietata dal 1985. In realtà ne sopravvive ancora una nella stazione di Greenford sulla Central Line.


Londra, 1938: sistemi di sicurezza.


Londra, l’ultima scala con gradini in legno rimasta, stazione Greenford, Central Line.


Una scala mobile della metropolitana di Mosca, tra le più lunghe e rapide.

A Milano, il problema dei guasti alle scale mobili sembra essersi intensificato negli ultimi due anni, e non in maniera strettamente legata all’anzianità degli apparati, dato che anche scale mobili degli anni ’70 e ’80 sono in riparazione, ma forse ad un diminuito livello di manutenzione. Storicamente l’introduzione delle scale mobili in tutte le stazione della metropolitana, inizialmente solo tra banchina e mezzanino e solo in uscita, costituisce un’altra delle grandi innovazione introdotte con la Linea 1 di Milano. Sebbene anche in altre metropoli l’uso delle scale mobili era ormai uno standard, ciò si limitava più che altro alle stazioni profonde o a singoli progetti. Oggi, qualsiasi nuova stazione della metropolitana è dotata di impianti analoghi, e la maggior parte vede coperto l’intero percorso dalla banchina alla superficie in ambedue le direzioni. Inoltre la rinascita dell’ascensore come sistema di risalita, oltre che come antidoto alle barriere architettoniche, sembra avviata; Roma con la B1 e Barcellona con la linea 9 vedono il ritorno a questa tipologia che permette di sfruttare grandi profondità permettendo risalite più rapide che con le scale mobili. In altri casi, come Copenhagen, le scale mobili hanno completamente soppiantato quelle fisse, nascoste dietro le pareti e adibite alla sola emergenza.

Ricordatevi di tenere la destra quando usate le scale mobili!


Milano, 1964: prima versione delle banchine senza scale mobili.


Milano, 1964: versione definitiva con le scale mobili con lo studio dei flussi analizzato da Bob Noorda.


Milano, 2006: scala mobile della stazione Pagano.


Milano, 2012: il cartello affisso da ATM.


Milano, 2013: cartello e cantiere presso la stazione Moscova.


Milano, 2013: interno del cantiere preso la stazione Moscova.


Spaccato assonometrico di una stazione tipo della Linea 4 di Milano.


Rendering di una stazione tipo della Linea 4 di Milano.

© Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore

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Perché si usa questo termine: tube? Ovvero tubo. L’immagine qua sotto lo rende subito esplicito. Non si tratta né di tubature del gas e nemmeno di meno eleganti scarichi di acque reflue. Sono tunnel della metropolitana di Londra, ovvero il nodo della stazione Kennington dove due diramazioni della Northern Line si uniscono nel sud della città. Parallelamente al sistema detto cut&cover, letteralmente taglia e copri, ma più dettagliatamente, scava e ricopri, che null’altro è che una ferrovia costruita sotto il livello della strada, più o meno interamente ricoperta, per non avere interferenze con il traffico superficiale, il tube costituisce l’evoluzione definitiva della metropolitana. Infatti, il metodo originale, praticato per i primi trenta anni, non si può adattare a tutte le situazioni, prevede grandi stravolgimenti in superficie, talvolta l’abbattimento di edifici, e la necessità di seguire la maglia urbanistica esistente. Il tube non necessità di nulla di tutto ciò, ha tracciati indipendente, può sotto passare qualunque cosa, compresi corsi d’acqua e strati archeologici; può richiedere scavi anche molto ridotti e solo dove vi sono stazioni o pozzi di areazione. Il diametro tipo dei primi tunnel londinesi era di 310cm, mentre le versioni successive aveva un’ampiezza di minimo 450cm.

Questa invenzione, prettamente anglosassone, nasce con l’idea, apparentemente banale, che come i tubi che incominciano ad attraversare le città ottocentesche per portare acqua, gas, cavi elettrici, telegrafici, acque sporche, i primi cavi telefonici e perfino la posta pneumatica, allo stesso modo si possono realizzare tubi che possano trasportare persone. Uno dei primi tentativi, ad opera di Marc Isambard Brunel, sotto passava il Tamigi; accessibile alle persone tramite scale o ascensori e veniva percorso a piedi, fu costruito a partire dal 1825 e inaugurato nel 1843. Oggi questo tunnel è parte della metropolitana di Londra (Overground Line). In seguito sia a New York che Londra s’ipotizzò l’introduzione di convogli spinti, rispettivamente, con l’aria compressa o da pulegge, ma non ebbero successo. Infine, grazie all’arrivo dell’elettricità, si poterono utilizzare treni normali tradizionali. O quasi, vista la conformazione cilindrica ancora oggi caratteristica peculiare dei convogli Londinesi. Dagli anni ’30 questa prassi divenne consolidata e i tunnel, più larghi, permettevano il passaggio di treni con dimensione standard. Oggi i tunnel circolari scavati a grande profondità da trivelle meccanizzate, le talpe o TBM, costituiscono la maggior parte delle nuove realizzazioni; proprio questa tecnica altamente automatizzata di scavo ha definitivamente consolidato la geometria cilindrica delle metropolitane.

Conseguenza di questa scelta strutturale è evidente nella conformazione delle stazioni. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, il fatto che le metropolitane siano realizzate per il trasporto umano, nelle prime conformazioni l’aspetto finale, se non si considerano le dimensioni, ripercorre perfettamente la forma di un impianto idraulico.

La prima fase è rappresentata nelle prime due immagini sono raffigurate le stazioni londinesi Down Street della Piccadilly Line e Camden Town della Northern Line. La prima fu aperta nel 1907 e chiusa nel 1932 senza subire modifiche, a causa dell’eccessiva vicinanza con le altre stazioni. La seconda fu aperta nel 1907 ed è tuttora funzionante. Sono entrambe formate da tunnel contenenti le banchine, uno per ogni direzione o ramo. Questi tunnel-banchina sono poi connessi al sistema di risalita tramite cunicoli di forma circolare di dimensione ridotta, due per ogni banchina contenenti in parte delle scale per sovrappassare la banchina nell’altra direzione. Il sistema di risalita è a sua volta costituito da due o quattro vani cilindrici verticali che contengono una scala a chiocciola o gli ascensori. Infatti, in questa prima tipologia era collegata con la superficie solo con ascensori e scale. L’aspetto in sezione e assonometria ripete pienamente quello di un impianto idraulico di qualsiasi tipo. Internamente le stazioni erano interamente rivestite di piastrelle smaltate installate in modo da formare disegni geometrici, il pavimento era in conglomerato cementizio e gli arredi erano costituiti dalle luci elettriche e da poche panchine di legno e ferro. Le poche indicazioni grafiche erano dipinte in nero. Entrambe le stazioni furono progettate architettonicamente da Leslie Green.

La seconda fase vede l’introduzione delle scale mobili. La prima è la versione attuale della stazione Camden Town già illustrata prima, la seconda è la stazione Bounds Green della Piccadilly Line, realizzata nel 1932. L’introduzione della scala mobile nasce parallelamente all’umanizzazione degli spazi sotterranei. Anziché collegare il sistema di risalita con stretti tunnel parzialmente percorribili attraverso strette scalinate, viene declinato per il sotterraneo il sistema della banchina ad isola. Quindi i due vani circolari delle banchine sono complanari e le loro uscite si affacciano entrambi sul ripiano che porta alle scale. L’intero complesso assume quindi una conformazione sostanzialmente simmetrica. Anche gli spazi vengono estesi, aumentando i diametri anche per contenere le tre scale mobili in legno e metallo. Se la stazione Bounds Green da parte del primo lotto conformato in questo modo al mondo, per la stazione Camden Town si tratta di una modifica avvenuta in epoca successiva, che ha comportato anche la rimozione degli ascensori, mantenendo invece, per ovvi motivi, i due diversi livelli altimetrici delle banchine. Architettonicamente la variazione nella parte sotterranea è costituita dalla semplificazione dei decori e dalla standardizzazione della grafica, il grande cambiamento avvenne invece in superficie.

Stato finale della stazione Piccadilly Circus a Londra dopo il rinnovamento delle uscite avvenuto nel 1928 con il progetto architettonico di Charles Holden

La terza fase vede il completamento del processo evolutivo di questa tipologia. Con il contratto tra l’Unione Sovietica e gli ingegneri della metropolitana di Londra per realizzare la metropolitana di Mosca, viene definita la conformazione unitaria degli spazi delle stazioni profonde. Partendo dal diametro maggiore e dalla lunghezza accresciuta delle banchine, i piccoli spazi pensati per la metropolitana di Londra, da considerarsi come un progetto sperimentale, non erano più adatti. Per questo ai due tubi paralleli contenenti le banchine furono associati uno o più tubi paralleli contenenti gli spazi di collegamento; i tre tunnel paralleli furono connessi non con altre gallerie ma non realizzando le separazioni tra i tre vani e sostenendo le volte con pilastri, tutti interamente realizzati in metallo. Ad una o entrambe le estremità del tunnel centrale vennero poi posizionati i collegamenti obliqui contenenti le scali mobili. La grande profondità delle stazioni nel centro di Mosca e le dimensioni maggiorate degli spazi hanno portato alla realizzazione di vani estremamente ampi che furono poi decorati con le note caratteristiche estetiche di derivazione neobarocca, che ben celano tuttora la complessità strutturale. Nell’immagine è raffigurata un’interconnessione tipo pensata per Mosca e la sezione del punto di connessione tra le due linee; inoltre uno spaccato assonometrico della struttura da confrontarsi con il risultato finale architettonico.

Con l’evolvere del tempo la tipologia non si è più modificata dal punto di vista volumetrico, se non aumentando o diminuendo gli spazi a seconda delle necessità. Al contrario vi è stata una vasta evoluzione architettonica: abbandonati gli sfarzi sovietici (proseguiti fino agli anni 50 e 60) gli allestimenti si sono orientati verso una maggiore semplificazione estetica e un crescente tentativo di sottolineare la complessità strutturale. A Praga e a Vienna i conci di acciaio dei tunnel rimangono visibili e per completare gli spazi si fa massiccio uso di pannelli metallici introdotti con la metropolitana di Milano; i materiali con posatura a secco si diffusero rapidamente. Solo in periodi più recenti, l’aumento della complessità strutturale legata ai nuovi impianti e alle aggiornate norme di sicurezza, hanno visto il moltiplicarsi dei materiali usati con un forte ritorno del calcestruzzo armato, usato da qualche decennio anche per i conci dei tunnel. A Stoccolma le stazioni profonde aperte nel 1975 in planimetria ripercorrono lo schema moscovita, ma si presentano come vani con roccia a vista semplicemente ricoperta di calcestruzzo spruzzato e poi variamente decorate con opere d’arte. Nell’immagine il complesso nodo di London Bridge dopo l’inserimento della fermata della Jubilee Line (in verticale) e il rifacimento della fermata della Northern Line (in orizzontale) tramite l’introduzione di una nuova banchina per permettere l’inserimento delle scale mobili.

Nell’ultimo decennio le stazioni profonde sono state riviste per permettere, eventualmente, l’eliminazione dello scavo in sotterraneo senza diminuire eccessivamente la profondità e l’uso dei due tunnel paralleli e, contemporaneamente, aumentare gli spazi delle stazioni, sia per inserire nuovi vani tecnici sia per questioni architettoniche. Alcuni esempi sono sia le stazioni realizzate per la prima linea metropolitana di Copenaghen sia per la sua gemella in realizzazione a Milano: la linea 5. Questi vani sono costituiti da un singolo parallelepipedo sufficientemente ampia da permettere il passaggio delle due macchine scavatrici e contenere, nel centro, la banchina ad isola con i sistemi di risalita. Da punto di vista architettonico non è più possibile definire uno standard tipico.

Foto della banchina della stazione Russel Square della Piccadilly Line a Londra

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Il 2 marzo, a sole due settimane dalla Linea 5 di Milano, ha aperto la prima linea metropolitana di Brescia. In questo modo la Lombardia è una delle pochissime regioni al mondo con ben due reti di metropolitana. La nuova linea si presenta con un percorso ad L con partenza a nord dell’abitato di Brescia fino, passando per il centro e la stazione, giunge a sud-est poco dopo il quartiere di espansione di San Polo. Le stazioni sono 17 per un totale di 13,7 km. Il sistema è il medesimo della Linea 5 e della metropolitana di Copenhagen, ovvero il pacchetto chiavi in mano – made in Italy concepito dall’Astaldi in associazione con l’Ansaldo Breda e alcuni operatori specializzati tra cui l’ATM di Milano. Questo pacchetto, che sta facendo concorrenza al più longevo modello VAL concepito in Francia, è in costruzione anche a Salonicco, Taipei, Riyadh. Si tratta di metropolitane definite leggere, nella pratica si tratta di convogli meno lunghi (39 metri contro i 105 usuali in Italia), ma soprattutto dotati di tecnologie avanzate, consistenti, soprattutto, nella guida automatica dei veicoli e nei sistemi di controllo e sicurezza.


Il progetto architettonico è sicuramente un punto di forza; realizzato dallo studio Crew Cremonesi Workshop di Brescia. Le stazioni sono di quattro tipologie: in trincea, sopraelevate, trincea coperta e profonde (anche oltre i 20 metri). Nelle prime tipologie ci troviamo di fronte a realizzazione con allestimenti e definizione degli spazi assai semplice. Diorite scura per i pavimenti e gres porcellanato texturizzato grigio per le pareti; ringhiere di acciaio satinato, molto vetro e molta luce. Strutture metalliche a vista per quelle esterne. Il vero apice si raggiunge con le stazioni profonde. Fatto salvo per le fermate Vittoria e San Faustino, condizionate da presenze storiche e archeologiche notevoli, le altre (Ospedale, Marconi, Stazione, Bresciadue, Lamarmora, Volta) si presentano come un grande vano unico a sezione rettangolare, senza solai intermedi, ovvero una rivoluzione da tempo attesa nel panorama italiano. Dai lucernai su strada è possibile vedere il vano dei binari. Se non ci fosse la protezione dello stesso vano con le porte di banchina, dette generalmente antisuicidio, si potrebbero vedere i binari nonostante l’ampia profondità delle stesse. Ovviamente da sotto è possibile vedere la luce solare appena usciti dai vagoni. Uno degli aspetti meglio riuscito è lo spostamento dei vani impianti dentro una superficie inclinata che copre circa un terzo della parte alta della stazione, sorretto da due coppie di respingenti di acciaio verniciati in grigio. Il vano è stato ricoperto con acciaio microforato verniciato in nero e lucidato che crea notevoli giochi di luce. Il nero del vano tecnico fa da contrasto con la superficie in gres quasi bianco che rivestono il resto delle pareti e con il grigio dei pavimenti, creando riflessi dinamici durante lo scorrere della giornata, grazie alla luce solare proveniente dai lucernai. Scale mobili e fisse in vetro e acciaio non verniciato chiudono la gamme dei rivestimenti. Il soffitto è semplicemente verniciato nella parte alta, e controsoffittato sotto i ponti che sovrappassano i binari. Un secondo vano impianti è collocato sulla banchina opposta al vano obliquo, sotto il corridoio di accesso e la grande scala di uscita verso la superficie. Anche la decisione di celare le scale fisse sul fondo del grande vano di stazione, lasciando alle sole scale mobili lo spazio aperto, riesce a conferire maggiore unità e chiarezza ai percorsi. Ovviamente spazi tecnici e scale di emergenza sono abilmente nascoste dietro le pareti verticali di fondo e laterali. L’ascensore è racchiusa nella parete verticale opposta al vano obliquo, chiusa da una vetrata a tutt’altezza complanare al rivestimento in gress della parete. Per il passeggero comune, la pulizia architettonica degli spazi, il protagonismo delle scale mobili e la facilità dei percorsi sono un beneficio, nonostante la notevole profondità richieda un tempo di percorrenza tra scala di accesso e banchina non indifferente. Il progetto della metropolitana di Brescia contemporaneizza i punti chiave dell’estetica funzionalista: i percorsi sono chiaramente definiti nella composizione degli spazi, i materiali sono installati a secco e facilmente mantenibili, la segnaletica chiara e diffusa, l’allestimento generalmente pulito e soprattutto standardizzato. Questo modello potrebbe costituire un nuovo punto di partenza la realizzazione di intere nuove linee.


Informazioni tecniche dal volume “Stazione Metropolitane. Underground/upper people” a cura di Loris Zanirato, edito da Brescia Mobilità nel 2012



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STAZIONE BRESCIADUE

STAZIONE SAN POLO

STAZIONE SAN FAUSTINO

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Il 2013 le metropolitane compiono 150 anni di vita. La prima metropolitana entro in funzione a Londra il 10 gennaio 1863. Si trattava di un singolo tunnel tra le stazioni Paddington e Farringdon. Costruita scavando i tunnel e le stazioni dall’alto – metodo cut&cover – era gestita da una compagnia ferroviaria privata detta “Metropolitan Railway Company” a cui deve il nome che identifica questo sistema, anche se nel mondo anglosassone viene tutt’ora chiamata semplicemente underground (come da noi “la sotterranea”) o tube.

Per avere il primo tube si dovrà aspettare il 1890 – salvo un primo fallimentare esperimento nel 1870 – con la prima tratta costruita intermente in sotterraneo per opera della “City and South London Railway” (oggi Northern Line) tra le stazioni King William Street – poi chiusa – e Stockwell. Fu costruita con l’uso di scudi circolari, utili a proteggere gli operai, e il tunnel era costituito dall’assemblaggio di conci metallici; tale tecnologia è stata favorita dall’avvento della trazione elettrica che ha permesso l’eliminazione degli scarichi delle locomotive a vapore che spingevano i treni nelle prime linee, ha visto la luce sempre a Londra. Con l’avvento del tube, ma soprattutto della trazione elettrica, la metropolitana iniziò a diffondersi in tutto il mondo.

La metropolitana, da subito strettamente legata al contesto urbano ad alta densità, che il nome bene rispecchia, ebbe un lento approccio con l’architettura che in quel momento era già perfettamente integrata nella realizzazione dei grandi terminali ferroviaria; a Londra, su tutti, la grande stazione di St. Pancras realizzata in stile neogotico vittoriano nel 1861 ad opera dell’ingegnere William Henry Barlow. Le prime stazioni metropolitane erano lavori prettamente ingegneristici, con allestimenti semplici e dal gusto classico, giusto qualche lampione e panchina nelle banchine, e archi e lesene classiche sulle facciate; tra i protagonisti vi furono l’ingegner John Fowler e l’architetto Harry Warton Ford per la Distric Line, l’architetto Harry Bell Measures per la Central Line – anche in stile tudor – , e T. Phillips Figgis per la Northern Line. Sarà solo con l’entrata nel XX° secolo che vi furono i primi interventi consapevoli di architetti. Nell’era Edoardiana toccò all’architetto Leslie William Green disegnare la maggioranza delle facciate delle palazzine dove vi sono gli accessi alle stazioni profonde, tra il 1905 e il 1908. Infatti a Londra non vi era e non vi è tuttora l’uso delle scale di uscita poste lungo i marciapiedi, salvo rare eccezioni. Le uscite sono sempre state collocate in apposite palazzine di uno o due piani comprendenti spazi commerciali al piano terra, e uffici al livello superiore. Le loro caratteristiche peculiari sono le grandi aperture chiuse da archi a tutto sesto, i rivestimenti in piastrelle in terracotta lucida, di colore bordeaux all’esterno e verde nelle parti sotterranee, cesellate con fogge neorinacimentali, e alcuni inserimenti Art Nouveau soprattutto nelle parti metalliche; si tratta di uno dei primi esempi di disegno uniformato per le metropolitane.


STAZIONE COVENT GARDEN, OPERA DI LESLIE GREEN

Ma il vero punto di congiunzione tra architettura e metropolitane nasce a Parigi, che nel 1901 inaugura la prima linea della sua ampia rete, e affida gli aspetti estetici al maestro dell’Art Nouveau Hector Guimard. Le sue realizzazioni per le uscite delle stazioni, ma anche per il raffinato disegno delle maioliche che rivestono le banchine, non solo rimane la sua opera più nota, ma costituisce tuttora un simbolo parigino e un punto di riferimento assoluto nella progettazione infrastrutturale.


PORTE DAUPHINE A PARIGI, OPERA DI GUIMARD

Il primo modernismo, tuttavia, non riesce a spazzare via il gusto eclettico che constituirà ancora, fino agli anni 30 il paradigma. A Berlino, per opera dell’architetto svedese Alfred Granader (tra il tra il 1910 e il 1930), con le sobrie stazioni nel centro della città, con le colonne metalliche decorate da capitelli in ferro battuto in fogge Liberty o stampati nelle forme classiche; da citare anche le stazioni che riprendono il medioevo e rinascimento tedesco, tra le quali segnalare Heidelberger Platz per opera di Wilhelm Leitgebel (1913).


BERLINO, CAPITELLI METALLICI DI GRANADER


BERLINO, HEIDELBERGER PLATZ

A Budapest con la prima linea aperta nel 1896 – ad opera della Siemens & Halske, come per Berlino – realizzata in forme eclettiche e divenuta oggi Patrimonio dell’Umanità UNESCO; a New York dove l’aspetto architettonico è curato per la sola stazione City Hall (la cui foto è visibile nel primo post di questo blog), e nelle bande in ceramica che coronano le banchine delle altre fermate. Madrid segue Parigi soprattutto nell’allestimento delle banchine, introducendo grossi riquadri pubblicitari realizzati con piastrelle in rilievo anziché in carta o dipinti.


MADRID, STAZIONE FANTASMA DI CHAMBERI

Negli anni ’30, con il passaggio all’Art Dèco, e al modernismo europeo razionalista, con la sostanziale scomparsa di ogni aspetto decorativo a favore di forme dallo spiccato aspetto geometrico. Esempi sono le molte stazioni delle estensioni della metropolitana di Londra verso le periferie e le New Town ad opera dell’architetto Charles Henry Holden. Sempre a Londra arrivano i primi tentativi, peraltro molto riusciti, di studio degli aspetti grafici delle metropolitane, dapprima con la realizzazione del font Johnston, di Edward Johnston, nel 1916, e poi con lo schema grafico ad opera di Harry Beck, ancora oggi entrambi utilizzati e punto di paragone per tutta la produzione analoga.


LONDRA, STAZIONE RAYNERS LANE DI CHARLES HOLDEN

Caso a parte è costituito dalla metropolitana di Mosca, inaugurata nel 1935, figlia di un ambizioso progetto politico, fu realizzata con precisa volontà di grandezza per quello che era il trasporto del popolo. La conformazione della prima linea fu progettata dagli stessi ingegneri inglesi che realizzavano il tube di Londra, riproponendone la conformazione ma rivoluzionando la geometria delle stazioni, espandendone e razionalizzandone gli spazi. Invece di stretti tunnel che portavano dagli ascensori provenienti dalla superficie, attraverso piccole scale, verso le banchine, a Mosca fu introdotto l’uso massiccio delle scale mobili, solo da poco sperimentate a Londra. Le nuove stazioni composte da un atrio, un tunnel obliquo con le scale e tre tunnel paralleli – due per treni e banchine e uno di smistamento – semplificarono l’accesso a queste stazioni profonde. Ma quello che tuttora le rende uniche è la scelta di allestirle in uno stile neobarocco, con grandi lampadari in ferro, stucchi alle pareti, mosaici, pavimenti in materiale pregiato; stile che verrà riprodotto in tutte le reti dell’area sovietica.


MOSCA KOSMOLSKAYA

Nelle restanti nuove reti, come Chicago o Barcellona, e più avanti Stoccolma (1950), Roma (1955) e Lisbona (1959), e in generale per tutti gli anni ’40 e ’50, gli aspetti estetici verranno messi da parte per favorire un risparmio notevole nella realizzazione di queste infrastrutture, preferendo pareti intonacate, piastrelle perlopiù bianche, scarsa segnaletica, rari e monocromi mosaici e pavimenti in pietra dai colori scialbi.

L’ingresso nell’era contemporanea delle metropolitane si avrà grazie al progetto del team Franco Albini, Franca Helg, Bob Noorda a Milano nel 1964 con il ritorno dell’architettura, nello specifico funzionalista e modernista post-bellica. La progettazione integrale, dall’allestimento alla segnaletica, secondo principi razionali studiati nel dettaglio, l’uso di materiali innovativi (il pavimento in bolli neri, molto utilizzato fino a tutti gli anni ’80 è stato creato apposta per la Linea 1 di Milano), l’uso del colore dominante, di un font apposito e di icone identificative vede in questo progetto la prima applicazione totale, dopo i primi tentativi di Londra.


Dagli anni ’60 l’approccio usato a Milano diverrà il filo conduttore di molte nuove realizzazioni – San Paolo, Vienna, Brasilia, Washington – e di alcuni rinnovamenti – Boston nell’immediato e Madrid ancora oggi. Soprattutto lo studio della grafica e della segnaletica, e l’uso di materiali innovativi e facilmente gestibili come i pannelli removibili, sono man mano diventati uno standard. Stoccolma costituisce, in apparenza, un caso a parte, ma sebbene la scelta di affidare ad artisti il completamento delle stazioni, e la loro conformazione unica – come caverne – lo standard dell’allestimento rispecchia sempre le regole funzionaliste introdotte nel 1964 a Milano.


MADRID TRIBUNAL OGGI


STOCCOLMA CENTRAL, STAZIONE SULLA LINEA PIU’ RECENTE (1975)

L’ultima fase è rappresentata nasce, nuovamente, a Londra con la scelta di assegnare a differenti studi architettonici di prestigio il progetto delle undici stazioni del prolungamento della Jubillee Line, 1999, come Norman Foster (Canary Wharf). Segue Lisbona con le opere di Alvaro Siza Vieria (stazione Baixa-Chiado) o gli esperimenti innovativi francesi di Lilla. Con questa fase l’attenzione agli aspetti architettonici delle metropolitane si avvia a diventare la norma. In alcuni casi come la stazione Drassanes di Barcellona diventano prove di design, in altri casi, come Napoli, campo per l’applicazione di opere artistiche estese, esperimenti già effettuati in maniera ridotta a Bruxelles o come anticipato a Stoccolma. Nella maggior parte dei casi la prassi funzionalista, ovviamente aggiornata, che propone ancora la standardizzazione dell’allestimento e lo studio dettagliato della segnaletica e dei dettagli si avvia a diventare norma consolidata, investire nell’aspetto estetico di una metropolitana, anche percentuali relativamente rilevanti non è più un tabù.


LONDRA JUBILEE LINE, CANARY WHARF

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