Perché si usa questo termine: tube? Ovvero tubo. L’immagine qua sotto lo rende subito esplicito. Non si tratta né di tubature del gas e nemmeno di meno eleganti scarichi di acque reflue. Sono tunnel della metropolitana di Londra, ovvero il nodo della stazione Kennington dove due diramazioni della Northern Line si uniscono nel sud della città. Parallelamente al sistema detto cut&cover, letteralmente taglia e copri, ma più dettagliatamente, scava e ricopri, che null’altro è che una ferrovia costruita sotto il livello della strada, più o meno interamente ricoperta, per non avere interferenze con il traffico superficiale, il tube costituisce l’evoluzione definitiva della metropolitana. Infatti, il metodo originale, praticato per i primi trenta anni, non si può adattare a tutte le situazioni, prevede grandi stravolgimenti in superficie, talvolta l’abbattimento di edifici, e la necessità di seguire la maglia urbanistica esistente. Il tube non necessità di nulla di tutto ciò, ha tracciati indipendente, può sotto passare qualunque cosa, compresi corsi d’acqua e strati archeologici; può richiedere scavi anche molto ridotti e solo dove vi sono stazioni o pozzi di areazione. Il diametro tipo dei primi tunnel londinesi era di 310cm, mentre le versioni successive aveva un’ampiezza di minimo 450cm.
Questa invenzione, prettamente anglosassone, nasce con l’idea, apparentemente banale, che come i tubi che incominciano ad attraversare le città ottocentesche per portare acqua, gas, cavi elettrici, telegrafici, acque sporche, i primi cavi telefonici e perfino la posta pneumatica, allo stesso modo si possono realizzare tubi che possano trasportare persone. Uno dei primi tentativi, ad opera di Marc Isambard Brunel, sotto passava il Tamigi; accessibile alle persone tramite scale o ascensori e veniva percorso a piedi, fu costruito a partire dal 1825 e inaugurato nel 1843. Oggi questo tunnel è parte della metropolitana di Londra (Overground Line). In seguito sia a New York che Londra s’ipotizzò l’introduzione di convogli spinti, rispettivamente, con l’aria compressa o da pulegge, ma non ebbero successo. Infine, grazie all’arrivo dell’elettricità, si poterono utilizzare treni normali tradizionali. O quasi, vista la conformazione cilindrica ancora oggi caratteristica peculiare dei convogli Londinesi. Dagli anni ’30 questa prassi divenne consolidata e i tunnel, più larghi, permettevano il passaggio di treni con dimensione standard. Oggi i tunnel circolari scavati a grande profondità da trivelle meccanizzate, le talpe o TBM, costituiscono la maggior parte delle nuove realizzazioni; proprio questa tecnica altamente automatizzata di scavo ha definitivamente consolidato la geometria cilindrica delle metropolitane.
Conseguenza di questa scelta strutturale è evidente nella conformazione delle stazioni. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, il fatto che le metropolitane siano realizzate per il trasporto umano, nelle prime conformazioni l’aspetto finale, se non si considerano le dimensioni, ripercorre perfettamente la forma di un impianto idraulico.
La prima fase è rappresentata nelle prime due immagini sono raffigurate le stazioni londinesi Down Street della Piccadilly Line e Camden Town della Northern Line. La prima fu aperta nel 1907 e chiusa nel 1932 senza subire modifiche, a causa dell’eccessiva vicinanza con le altre stazioni. La seconda fu aperta nel 1907 ed è tuttora funzionante. Sono entrambe formate da tunnel contenenti le banchine, uno per ogni direzione o ramo. Questi tunnel-banchina sono poi connessi al sistema di risalita tramite cunicoli di forma circolare di dimensione ridotta, due per ogni banchina contenenti in parte delle scale per sovrappassare la banchina nell’altra direzione. Il sistema di risalita è a sua volta costituito da due o quattro vani cilindrici verticali che contengono una scala a chiocciola o gli ascensori. Infatti, in questa prima tipologia era collegata con la superficie solo con ascensori e scale. L’aspetto in sezione e assonometria ripete pienamente quello di un impianto idraulico di qualsiasi tipo. Internamente le stazioni erano interamente rivestite di piastrelle smaltate installate in modo da formare disegni geometrici, il pavimento era in conglomerato cementizio e gli arredi erano costituiti dalle luci elettriche e da poche panchine di legno e ferro. Le poche indicazioni grafiche erano dipinte in nero. Entrambe le stazioni furono progettate architettonicamente da Leslie Green.
La seconda fase vede l’introduzione delle scale mobili. La prima è la versione attuale della stazione Camden Town già illustrata prima, la seconda è la stazione Bounds Green della Piccadilly Line, realizzata nel 1932. L’introduzione della scala mobile nasce parallelamente all’umanizzazione degli spazi sotterranei. Anziché collegare il sistema di risalita con stretti tunnel parzialmente percorribili attraverso strette scalinate, viene declinato per il sotterraneo il sistema della banchina ad isola. Quindi i due vani circolari delle banchine sono complanari e le loro uscite si affacciano entrambi sul ripiano che porta alle scale. L’intero complesso assume quindi una conformazione sostanzialmente simmetrica. Anche gli spazi vengono estesi, aumentando i diametri anche per contenere le tre scale mobili in legno e metallo. Se la stazione Bounds Green da parte del primo lotto conformato in questo modo al mondo, per la stazione Camden Town si tratta di una modifica avvenuta in epoca successiva, che ha comportato anche la rimozione degli ascensori, mantenendo invece, per ovvi motivi, i due diversi livelli altimetrici delle banchine. Architettonicamente la variazione nella parte sotterranea è costituita dalla semplificazione dei decori e dalla standardizzazione della grafica, il grande cambiamento avvenne invece in superficie.
Stato finale della stazione Piccadilly Circus a Londra dopo il rinnovamento delle uscite avvenuto nel 1928 con il progetto architettonico di Charles Holden
La terza fase vede il completamento del processo evolutivo di questa tipologia. Con il contratto tra l’Unione Sovietica e gli ingegneri della metropolitana di Londra per realizzare la metropolitana di Mosca, viene definita la conformazione unitaria degli spazi delle stazioni profonde. Partendo dal diametro maggiore e dalla lunghezza accresciuta delle banchine, i piccoli spazi pensati per la metropolitana di Londra, da considerarsi come un progetto sperimentale, non erano più adatti. Per questo ai due tubi paralleli contenenti le banchine furono associati uno o più tubi paralleli contenenti gli spazi di collegamento; i tre tunnel paralleli furono connessi non con altre gallerie ma non realizzando le separazioni tra i tre vani e sostenendo le volte con pilastri, tutti interamente realizzati in metallo. Ad una o entrambe le estremità del tunnel centrale vennero poi posizionati i collegamenti obliqui contenenti le scali mobili. La grande profondità delle stazioni nel centro di Mosca e le dimensioni maggiorate degli spazi hanno portato alla realizzazione di vani estremamente ampi che furono poi decorati con le note caratteristiche estetiche di derivazione neobarocca, che ben celano tuttora la complessità strutturale. Nell’immagine è raffigurata un’interconnessione tipo pensata per Mosca e la sezione del punto di connessione tra le due linee; inoltre uno spaccato assonometrico della struttura da confrontarsi con il risultato finale architettonico.
Con l’evolvere del tempo la tipologia non si è più modificata dal punto di vista volumetrico, se non aumentando o diminuendo gli spazi a seconda delle necessità. Al contrario vi è stata una vasta evoluzione architettonica: abbandonati gli sfarzi sovietici (proseguiti fino agli anni 50 e 60) gli allestimenti si sono orientati verso una maggiore semplificazione estetica e un crescente tentativo di sottolineare la complessità strutturale. A Praga e a Vienna i conci di acciaio dei tunnel rimangono visibili e per completare gli spazi si fa massiccio uso di pannelli metallici introdotti con la metropolitana di Milano; i materiali con posatura a secco si diffusero rapidamente. Solo in periodi più recenti, l’aumento della complessità strutturale legata ai nuovi impianti e alle aggiornate norme di sicurezza, hanno visto il moltiplicarsi dei materiali usati con un forte ritorno del calcestruzzo armato, usato da qualche decennio anche per i conci dei tunnel. A Stoccolma le stazioni profonde aperte nel 1975 in planimetria ripercorrono lo schema moscovita, ma si presentano come vani con roccia a vista semplicemente ricoperta di calcestruzzo spruzzato e poi variamente decorate con opere d’arte. Nell’immagine il complesso nodo di London Bridge dopo l’inserimento della fermata della Jubilee Line (in verticale) e il rifacimento della fermata della Northern Line (in orizzontale) tramite l’introduzione di una nuova banchina per permettere l’inserimento delle scale mobili.
Nell’ultimo decennio le stazioni profonde sono state riviste per permettere, eventualmente, l’eliminazione dello scavo in sotterraneo senza diminuire eccessivamente la profondità e l’uso dei due tunnel paralleli e, contemporaneamente, aumentare gli spazi delle stazioni, sia per inserire nuovi vani tecnici sia per questioni architettoniche. Alcuni esempi sono sia le stazioni realizzate per la prima linea metropolitana di Copenaghen sia per la sua gemella in realizzazione a Milano: la linea 5. Questi vani sono costituiti da un singolo parallelepipedo sufficientemente ampia da permettere il passaggio delle due macchine scavatrici e contenere, nel centro, la banchina ad isola con i sistemi di risalita. Da punto di vista architettonico non è più possibile definire uno standard tipico.
Foto della banchina della stazione Russel Square della Piccadilly Line a Londra
© Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore
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